L’indifendibile impuntatura israeliana

“La proposta di Hamas sul cessate il fuoco non soddisfa le richieste essenziali di Israele”, ha affermato l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo la riunione del gabinetto di guerra, che ha deciso all’unanimità di continuare con le operazioni a Rafah per “velocizzare il rilascio degli ostaggi”. 

Tuttavia, in una nota del governo israeliano si legge che Israele invierà una delegazione in Egitto “per massimizzare la possibilità di ottenere un accordo su termini accettabili” in merito al cessate il fuoco a Gaza. Anche il ministero degli Esteri del Qatar ha annunciato l’invio di una delegazione al Cairo martedì.

Nonostante l’ora tarda, a migliaia gli israeliani sono scesi in piazza per chiedere al governo di accettare i termini dell’accordo di cessate il fuoco sul tavolo. Circa mille persone si sono radunate presso il quartier generale militare di Tel Aviv, mentre un centinaio di manifestanti hanno marciato verso la residenza di Netanyahu a Gerusalemme con uno striscione che recitava “Il sangue è nelle tue mani”. Piccoli raduni sono stati segnalati anche in altre città di Israele.

L’annuncio è arrivato poche ore dopo che Hamas aveva accettato la proposta di un cessate il fuoco da parte di Egitto e Qatar. Secondo quanto dichiarato dai funzionari del gruppo radicale palestinese, il piano prevedeva tre fasi, ciascuna di 42 giorni, con un cessate il fuoco, la ricostruzione di Gaza, il ritorno degli sfollati alle loro case e un accordo per lo scambio di prigionieri. 

Un funzionario israeliano ha detto che non è chiaro quale proposta Hamas abbia accettato, dato che alcuni dei termini sembrano differire sostanzialmente da quelli mostrati dai mediatori a Israele e concordati dal governo israeliano la scorsa settimana.

Il punto che continua a dividere maggiormente le parti è la permanenza del cessate il fuoco, pretesa da Hamas in cambio del rilascio degli ostaggi, categoricamente negata da Israele, che vuole riservarsi il diritto di riprendere l’azione militare per “distruggere definitivamente” l’ala militare del gruppo palestinese.  

In ogni caso, secondo Haaretz, la versione di accordo accettata da Hamas non include la richiesta immediata di un cessate il fuoco permanente, ma modifica altri elementi della proposta egiziana, come la richiesta di liberare 33 ostaggi nella prima fase. Inoltre toglierebbe a Israele il diritto di veto sul rilascio dei detenuti palestinesi in cambio. (euronews)

Giriamola come vogliamo: la posizione di Israele è indifendibile e inaccettabile da tutti i punti di vista etico, storico, diplomatico e politico.  Da giorni si era capito che Netanyahu non accettava alcun accordo con Hamas, perché vuole semplicemente distruggere Hamas assieme alla Palestina, che purtroppo si è affidata disperatamente ma insensatamente ad esso, regalando ad Israele il pretesto per affondare definitivamente i colpi.

La disgustosa melina in atto sul cessate il fuoco suona come una presa in giro per il mondo occidentale fatto da tanti suoi alleati (in primis gli Usa), che si vedono costretti a fare i salti mortali diplomatici pur di non affermare apertamente un netto dissenso nei confronti della folle politica israeliana. Sono penose e pretestuose le posizioni di chi testardamente finge di giustificarla, accampando le scuse della portata terroristica dell’attacco subito, del diritto ad esistere dello Stato di Israele e il risorgente antisemitismo: stiamo andando ben oltre ogni e qualsiasi plausibile legittima difesa, ma superiamo ampiamente anche i limiti di qualsiasi ritorsione e/o rappresaglia.

Anche il tentativo di screditare le proteste che si stanno allargando nei Paesi occidentali, accusandole di equivoca faziosità lasciano il tempo che trovano: un conto è pretendere l’esplicita e inequivocabile condanna di Hamas, un conto è squalificare un movimento che mette in discussione la liceità di una guerra follemente impostata da Israele.

Il mondo arabo, nelle sue varie sfaccettature, si vede costretto a chiudere le già strettissime aperture verso accordi almeno a breve termine. Israele sta regalando le pur minime disponibilità arabe ad Hamas. Se è vero che la pace si tratta con i nemici, Netanyahu oltre che allargare il campo nemico a tutta la Palestina e ai Paesi arabi, mette le mani avanti e insolentisce di fatto gli amici in modo da scompigliare le carte e pregiudicare, sul nascere o ancor prima di nascere, ogni tentativo di cessate il fuoco. Per Israele si tratta di una resa definitiva dei conti, che potrebbe aprire inquietanti scenari bellici globali.

Fin qui ho valutato le sconcertanti contraddizioni diplomatiche in cui si è infilato Israele. Ma bisogna guardare anche la storia. Come scrive su MicroMega Cinzia Sciuto, “quello che conta è non ignorare il fatto che da 76 anni milioni di palestinesi vivono in campi profughi. Ci sono ormai più generazioni di palestinesi nati nei campi, che la loro “casa” non l’hanno mai vista ma solo sentita dai racconti dei parenti. Riconoscere il dolore e la rabbia che la nakba ha provocato in intere generazioni di palestinesi è doveroso, e anche i più convinti amici di Israele non possono in tutta onestà esimersi dal farlo. Così come non si può non vedere la natura coloniale dell’occupazione della Cisgiordania”.

Per non parlare degli aspetti etico-politici. Sempre Cinzia Sciuto afferma: “Materia di discussione politica attualissima è – deve essere – la natura della democrazia israeliana, il profilo etno-nazionalistico che ha deciso di darsi definendosi “Stato ebraico” nonché l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza (da cui Israele si è sì ritirato nel 2005, ma che di fatto ha continuato a controllare sotto molti punti di vista, e che comunque oggi ha nuovamente occupato) e ovviamente il massacro che sta perpetrando da sette mesi. Tutti questi sono temi che devono poter essere liberamente dibattuti, senza che la discussione venga costantemente riportata sul piano della legittimità o meno dell’esistenza stessa di Israele se non, peggio, dell’antisemitismo”.

Termino ribadendo che da qualsiasi punto di osservazione la si giudichi, la tattica israeliana risulta inaccettabile e perseguibile se non come genocidio almeno come eccidio. E continuo a chiedermi come possa essere possibile che nessuno riesca a riportare alla ragione uno Stato: né le pur deboli opposizioni interne, né le prese di distanza di autorevoli esponenti della cultura ebraica, né le prese di posizione dell’Onu, né la probabilità di incriminazioni da parte della Corte Penale Internazionale, né i reiterati e quasi accorati appelli alla moderazione da parte degli Usa, né la prospettiva di non avere più la fornitura di armi americane, né le proteste dilaganti nel mondo occidentale, né il rischio del rimontante antisemitismo, né l’eventualità di provocare la morte dei restanti ostaggi nelle mani di Hamas, né la quasi certezza dell’isolamento a livello mondiale, valgono a moderare le velleità belliche dello Stato di Israele.