C’era da aspettarselo: Massimiliano Allegri, dopo mesi di autentico linciaggio giornalistico, dopo essere stato da tempo messo preventivamente e subdolamente sulla graticola da parte della società juventina, dopo avere conquistato il trofeo della Coppa Italia, peraltro piuttosto insignificante per le modalità di svolgimento del torneo, si è tolto autentici macigni dalle scarpe, attaccando gli arbitri (se lo meritano indipendentemente dalle rimostranze juventine), un giornalista sportivo e con lui tutta la categoria (che non esito a definire di mangiapane a tradimento), il direttore sportivo della Juventus e con lui tutta la dirigenza (chiacchierata assai, reduce dalla esclusione delle coppe europee).
Devo ammettere che mi viene spontaneo solidarizzare con Allegri anche se avrebbe potuto uscire di scena con più stile (c’è modo e modo anche di sfogare rabbia e risentimento), anche se il vittimismo per questi personaggi superpagati suona oltre modo esagerato (finiscono in un certo senso per sputare nel piatto dove mangiano a crepapelle), anche se il mondo del calcio è diventato vieppiù un affare poco pulito e molto incasinato.
Un tempo si parlava di “stile Juventus”: oggi di stile, se mai ce ne sia stato in passato, non ne vedo più nemmeno un briciolo. Niente stile della società che logora il rapporto con l’allenatore in modo sconveniente e controproducente. Niente stile dell’allenatore che, in sofferenza per mancanza di fiducia nei suoi confronti, avrebbe dovuto dimettersi da quel dì (rinunciare a milionari compensi non fa parte della dignità professionale di questi signori). Niente stile da parte del giornalismo più o meno fiancheggiatore, capace solo di fomentare polemiche e di pescare nel torbido. L’unica componente che ha dimostrato un minimo di buongusto è stata la tifoseria (strano ma vero).
È vero che da alcuni anni la Juventus non riesce a praticare le alte sfere del calcio nazionale ed internazionale. Colpa degli allenatori? Colpa dei giocatori? Colpa dei dirigenti? Con tanta malizia anti-juventina direi colpa del Var, che ha messo fine agli annosi trattamenti di favore arbitrali. Ecco perché Max Allegri nella sua furia attacca anche gli arbitri, rei di ledere finalmente sua maestà.
Allegri ha fatto gesti francescani, togliendosi giacca e cravatta, ha fatto gesti inconsulti insultando gli arbitri (sotto-sotto ammetto di goderci), ha fatto gesti coraggiosi mandando a cagare il tanto osannato Cristiano Giuntoli e con lui tutto l’establishment societario (bene, bravo, bis!), ha fatto gesti giustizialisti minacciando i giornalisti sportivi (mia madre si chiedeva cosa farebbero di professione se non ci fosse il calcio).
Mentre mia madre se la prendeva con i chiacchieroni del nulla, mio padre entrava più nel merito tecnico (si fa per dire) delle vicende calcistiche, con lui entrava in gioco la figura dell’allenatore: lo considerava “un professionista” da giudicare come tale, senza sottovalutarlo, ma anche senza enfatizzarne il ruolo. Mi sembra che l’attuale andamento del mondo calcistico tenda ad esagerarne la funzione e di conseguenza a scaricargli addosso soprattutto colpe e responsabilità eccessive.
Come non ricordare quando di fronte ad errori clamorosi di un giocatore (occasione da goal fallita, passaggio decisivo totalmente errato, etc.) mio padre provocatoriamente affermava: “L’ é tutta colpa ‘d alenadór”. Lo scarica barile è un mezzuccio che non risolve i problemi, intendeva dire.
Consentitemi di riportare un piccolo episodio, questa volta, davanti al video, vale a dire una delle solite vuote interviste propinate ai fanatici del pallone. Parla il nuovo allenatore di una squadra, non ricordo e non ha importanza quale, che ottiene subito una vittoria ribaltando i risultati fin lì raggiunti. L’intervistatore chiede il segreto di questo repentino e positivo cambiamento e l’allenatore risponde: “Sa, negli spogliatoi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo vincere”. Non ci voleva altro per scatenare la furia ironica di mio padre che, scoppiando a ridere, soggiunse: “A s’ capìssa, l’alenadór äd prìmma, inveci, ai zugadór al ghe dzäva äd perdor”.
Tutto chiaro sul ruolo dell’allenatore? Mi sembra proprio di sì. I trainer padre eterni erano e sono serviti, i meno fortunati erano e sono risollevati. Ed a proposito di allenatori poco fortunati ne voglio citare uno del Parma (non chiedetemi i periodi e le date perché non li ricordo e poi, parliamoci chiaro, che importanza hanno?): un certo Canforini, tecnico che dalle formazioni giovanili era approdato alla prima squadra. Le cose obiettivamente non andavano bene, la squadra era indiscutibilmente in crisi e, succedeva purtroppo anche allora, scattò la contestazione dei tifosi. Ognuno è ovviamente libero di esprimere le proprie critiche, più che mai in un ambiente come lo stadio, ma a tutto c’è un limite. Al termine dell’incontro, finito molto male per il Parma, l’allenatore Canforini fu accolto all’uscita dagli spogliatoi da una pioggia di sputi. Mio padre lo imparò il giorno successivo dalle cronache del giornale, perché evitava scrupolosamente i dopo-partita più o meno caldi. Ne rimase seriamente turbato dal punto di vista umano e reagì, alla sua maniera, dicendomi: “E vót che mi, parchè al Pärma l’à pèrs, spuda adòs a un òmm, a l’alenadór? Mo lu ‘l fa al so mestér cme mi fagh al mèj. Sarìss cme dir che se mi a m’ ven mäl ‘na camra al padrón ‘d ca’ al me dovrìss spudär adòs! Al m’la farà rifär, al me tgnirà zò un po’ ‘d sòld, mo basta acsì.”
Mio padre esercitava il mestiere di imbianchino e quegli sputi se li era sentiti addosso. Non poteva concepire un’offesa del genere, soprattutto in conseguenza di un fatto normalissimo anche se spiacevole: perdere una partita di calcio. E continuò dicendo: “Bizòggna ésor stuppid bombén, a ne s’ pól miga där dil cozi compagni.”
Né più né meno quello che direbbe oggi alle prese con le polemiche fra Max Allegri, la Juventus, gli arbitri e i giornali sportivi, anche se questa volta a sputare ripetutamente addosso all’allenatore non è stata la tifoseria, ma il resto del mondo calcistico. Come faranno i giornalisti e i dirigenti sportivi a censurare i tifosi esagitati se loro stessi li superano e rischiano di soffiare sul fuoco. Non mi interessa come finirà la querelle. Comunque sarà una ulteriore brutta pagina di uno sport che non è più sport.
Tra le tante cose “stravaganti” della mia vita ci sono le ripetizioni, che davo a un simpatico ragazzino, poco portato allo studio: era faticoso ficcargli in testa certe nozioni. Un giorno eravamo alle prese con la storia degli uomini primitivi e bisognava capire quale fosse stato il loro primo bisogno che cercavano di soddisfare: si trattava del bisogno di nutrirsi, di mangiare, di sopravvivere. Non c’era verso di cavargli di bocca questa deduzione molto elementare. Provai ad aiutarlo coi gesti: gli facevo gesti e movimenti che potessero evocare la ricerca di energia, di nutrimento, di forza. Mi guardava con aria dubbiosa, poi ad un certo punto, come improvvisamente illuminato, sparò la risposta liberante: lo sport!!! Risi a crepapelle. Anche lui rideva, ma non troppo. Probabilmente si chiedeva cosa avesse detto di così ridicolo ed assurdo da suscitare la mia ilarità. Infatti, se da una parte poteva essere ed era una cavolata buttata a vanvera, dall’altra rappresentava una corrente e distorta mentalità: un bisogno secondario che diventa un fatto esistenziale ed assoluto, ma anche lo sport che diventa una lotta per la vita dei ricchi coi poveri a fare esagitato contorno.