Galeotta la patatina e chi l’ha pubblicizzata

Il comitato di controllo dell’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria ha bloccato la diffusione, in tutte le versioni e su tutti i canali, dei contestati spot di Amica chips in cui le ostie consacrate venivano sostituite dalle patatine. La decisione è stata assunta d’urgenza per le «numerose richieste di chiarimenti e proteste» arrivate allo Iap, ha spiegato il segretario generale Vincenzo Guggino, tra cui in particolare il ricorso presentato dall’Aiart, l’associazione degli ascoltatori di radio e televisione, di ispirazione cattolica. Più precisamente il comitato dell’Istituto di autodisciplina «ha ingiunto alle parti di desistere dalla diffusione» della pubblicità «su tutti canali e con ogni mezzo». La decisione è appellabile nei prossimi 7 giorni. Nel caso di appello, a decidere sarebbe poi il Giurì dell’Istituto di autodisciplina quale giudice terzo.

Lo Iap ricorda in un comunicato che «la campagna pubblicitaria, ambientata in un convento e con sottofondo musicale l’Ave Maria di Schubert, mostra un gruppo di suore novizie dirigersi verso l’altare della chiesa per prendere la comunione. Non appena la prima novizia della fila riceve dal sacerdote l’ostia (nella versione web una patatina) si sente un sonoro scrocchio riecheggiare nella chiesa. Stupita e imbarazzata di poter essere la causa di quell’imprevista emissione, la novizia si volta verso la sagrestia dove una altra suora sta sgranocchiando le croccanti patatine pubblicizzate, prendendole dal sacchetto. Il video si conclude con le immagini del prodotto e il claim “Amica chips il divino quotidiano”». (dal quotidiano “Avvenire”)

Non ho visto questo spot pubblicitario e non posso quindi valutarne l’impatto emotivo sullo spettatore e capire se veramente urti il senso religioso e manchi di rispetto alla fede religiosa. Tutto infatti dovrebbe avere un limite, ma sappiamo bene purtroppo che in tutto e per tutto il limite è dettato dall’interesse economico.

La pubblicità, oltre che essere l’anima del commercio, è lo specchio deformato della cultura corrente e quindi non mi scandalizzo affatto di queste stupide boutade, che riempiono il vuoto pneumatico della nostra mentalità corrente.

Mio padre, che non era certo un bigotto ma semmai un diversamente credente, quando vedeva simili immagini diceva di non ridere, né piangere, ma di provare una profonda pena. Mi sembra la reazione azzeccata. Personalmente non avrei inoltrato alcun ricorso allo Iap: nella nostra società bisogna paradossalmente utilizzare le sciocchezze per far capire a quale punto di imbecillità siamo arrivati a prescindere da eventuali offese al senso comune religioso. Si tratta di attentato al buon senso e al buon gusto.

E poi ricordiamoci che la pubblicità deve stupire, non importa come, per ottenere il suo risultato; il messaggio in questione è riuscito nell’intento, favorito anche dalle reazioni spropositate dei benpensanti. Bisogna infatti stare bene attenti a non fare involontariamente il gioco di chi vuole subdolamente speculare su tutto pur di ottenere un effetto economico.

Quando si discute di influenza negativa dei media e di quanto in essi è contenuto, mi sovviene sempre ciò che monsignor Riboldi, battagliero vescovo di Acerra, durante un convegno tenuto nell’Aula dei Filosofi dell’Università di Parma (non ricordo l’argomento di questo convegno), raccontò di aver detto alle suore della sua diocesi, creando volutamente un certo scandalo, vale a dire di preferire la pornografia pura a certi spettacoli televisivi ammantati di perbenismo.

Applicando il condivisibile e provocatorio metro di giudizio riboldiano, non saprei dove collocare lo spot delle patatine: nel perbenismo commerciale televisivo o nella (quasi) profanazione mercantile? Credo si tratti della versione perbenista del vuoto valoriale della società consumistica. E allora preferisco la satira a contenuto chiaramente blasfemo, da quella mi difendo meglio.

A proposito di pubblicità, devo togliermi un sassolino dalla scarpa, che da tempo tormenta il mio piede di navigatore nel sito internet di “Avvenire”.  Pur apprezzando in modo critico i contenuti del sito (a cui spesso e volentieri attingo come spunto per i miei commenti giornalieri) e il fatto di poterli leggere senza pagare (come avviene per tutti gli altri siti collegati ai giornali quotidiani), noto che da qualche tempo la presenza pubblicitaria è tale da compromettere la navigazione al limite dell’induzione alla rinuncia.

Il coatto bagno pubblicitario nella piscina di “Avvenire” fa il paio con quello nel palinsesto delle tv a contenuto religioso (ne seguo due: TV 2000 e padre Pio TV): ci manca poco che gli spot vadano in onda fra un mistero e l’altro del Rosario e prima o dopo le parti fondamentali della Messa.

Due riflessioni piuttosto acide: 1) chi è senza peccato pubblicitario scagli la prima pietra; 2) viviamo in una società consumistica e…bisogna pur campare.

Parafrasando il grande Enzo Biagi, la pubblicità è negativa, ma solo un pochettino, cioè quando non serve per un fine più elevato. E chi stabilisce lo scopo che rende veniale il peccato di fornicazione pubblicitaria?