Col Salis sulla coda

Rivedere ancora, dopo le crude immagini di fine gennaio, l’ingresso di Ilaria Salis in ceppi, tirata al guinzaglio come un animale nel tribunale di Budapest è qualcosa che non può lasciare indifferenti, quali che siano i capi d’imputazione o la “pericolosità” attribuita dai giudici magiari a una signora lombarda di 39 anni. Di più: il fatto che tale scena avvenga in uno Stato aderente all’Ue (e che pur condividendone i principi fondanti, non è nuovo a censure per violazioni dei diritti umani), inquieta e lascia l’amaro in bocca, tanto da spingere il padre Roberto ad un appello accorato al Quirinale.

Ciò detto, però, non si può non riservare alcune considerazioni rispetto all’eccesso, attorno al caso Salis, di una «politicizzazione», per dirla col vicepremier italiano Antonio Tajani, che non aiuta e anzi fomenta un contesto ambientale che potrebbe incidere, se non lo sta già facendo, sui risvolti giudiziari. (dal quotidiano “Avvenire”)

Il grande Enzo Biagi citava spesso un aneddoto in cui una madre premurosa e perbenista, di fronte alla giovanissima e nubile figlia incinta, ammette con la gente: “Sì, è incinta, ma solo un pochettino…”.

La questione Ilaria Salis è politica? Sì, no, solo un pochettino! Ma fatemi il piacere. Questa persona è in galera per motivi politici: ha osato scontrarsi con i nazifascisti che imperversano in Ungheria. Sembra che li abbia menati. Cosa doveva fare? Offrirgli una camomilla calda?

Il premier ungherese Orban se ne frega altamente della sorte di Ilaria Salis: gli interessano molto di più i gruppi nazifascisti che gli fanno da sponda. È sotto accusa per violazione dei diritti delle persone al fine di consolidare il suo potere. È un ricattatore bello e buono nei confronti dell’Unione europea: porta a casa i vantaggi e fa il furbo sui sacrifici.

Questo signore è corteggiato dalla premier italiana, è un suo amico, non si capisce fino a che punto. E allora non lo si può disturbare più di tanto. Non si può dire la verità perché fa male anche a noi.

La questione è formalmente giudiziaria, ma sostanzialmente politica. Se Ilaria Salis aspetta la libertà o comunque un giusto processo in condizioni di libertà provvisoria dal ministro Tajani, fa in tempo a mettere le radici nel carcere ungherese. Lo ha capito benissimo suo padre, che infatti intende rivolgersi direttamente a Sergio Mattarella.

E tutti a discutere se sia meglio tacere e trattare sotto traccia oppure prendere Orban per le corna. Quando si tace di fronte alla prepotenza e alla palese violazione dei principi democratici si sbaglia sempre e comunque, perché arrivano puntualmente ulteriori e gravi violazioni.

Ma come fa il governo italiano a fare la voce grossa? Non ne ha la capacità e la voglia. Ilaria Salis è capitata in una situazione molto aggrovigliata, dove nessuno ha il coraggio di partire dal bandolo della matassa. Lei questo coraggio bene o male ce l’ha avuto, gli altri no.

La narrazione che va per la maggiore è quella del “se l’è cercata”. Anche noi italiani il governo Meloni ce lo siamo cercati e ce lo teniamo più o meno stretto. Cosa volete che sia una italiana in carcere? Meglio la sua carcerazione che un grave incidente politico-diplomatico a carico di chi, fra l’altro, non sa neanche dove stia di casa la diplomazia e, politicamente parlando, è d’accordo con l’amico autocrate che si tiene ben stretto l’ostaggio.