L’ombelico cattolico e i “pistapòcci” del centro

Mia madre di calcio non capiva una mazza, ma, pur di stare in mia compagnia, guardava le partite e poneva simpatici interrogativi che alla fine avevano più un contenuto etico che sportivo. Anche allora si faceva un gran parlare di centrocampisti e lei ne aveva un concetto molto limitato: pensava che fossero i giocatori costretti a stazionare nel cerchio di centrocampo (per dirla alla parmigiana di pistapòcci, alla faccia di quanti sostengono che le partite di calcio si vincono a centrocampo).

Da tempo immemorabile in politica si fa un gran parlare di centro. In questo periodo di vigilia elettorale europea il discorso si è intensificato, stando ai giornali, soprattutto nell’area cattolica, insoddisfatta della linea politica del PD, considerato un partito radicale di massa, e lontana dalle logiche della destra e dei partiti dell’attuale centro destra.

Prendo spunto dal quotidiano “Avvenire”, che tenta di mettere la carne cattolica moderata al fuoco centrale dello schieramento politico. Si tratta in primis di un’intervista di Angelo Picariello a Ortensio Zecchino, ex ministro dell’Università che fondò con Andreotti e D’Antoni Democrazia Europea, ultimo tentativo (non andato a segno) di centro autonomo popolare. Zecchino auspica la rinascita di un centro che faccia riferimento al grande patrimonio di principi e valori provenienti dalla cultura cattolica, ammettendo però che non esista un leader in grado di avviare un simile processo e che di conseguenza questo spazio politicamente vuoto possa far gola alla destra di Giorgia Meloni in eventuale manovra di avvicinamento al Ppe anche e soprattutto in vista delle elezioni europee.

Sono d’accordo sul fatto che la premier Meloni, seguendo una strana, contradditoria ed incerta (forse solo furbesca) tattica di avvicinamento al Ppe, stia comunque cercando di inserirsi in un vuoto che si è creato al centro dello schieramento politico italiano: Forza Italia è al lumicino, Noi con l’Italia di Maurizio Lupi rappresenta il mini-leader e niente più, Matteo Renzi e Carlo Calenda non trovano di meglio che pestarsi i piedi a vicenda.

In effetti Giorgia Meloni sembrava puntare ad un rapporto organico a livello europeo col Partito Popolare al fine di sganciarlo dalla ormai storica alleanza coi socialisti. Disegno evidentemente molto difficile e forse fallito prima ancora di partire vista l’indisponibilità del Ppe e l’estremismo sempre più marcato delle destre amiche del giaguaro-Giorgia.

Resta il fatto che mentre in Europa ella punta ad un rapporto squalificante con le destre dei vari Paesi, in Italia sta tentando di rubare spazio nell’elettorato moderato: una sorta di “fatti più in là” cantato ai tanti soggetti che si contendono l’area di centro. Dopo di che si potrà presentare in sede europea con un buon pacchetto di voti che potrebbero oscillare fra l’opposizione pura, dura, euroscettica e la partecipazione ricattatoria ai nuovi o vecchi equilibri post-elettorali.

Ma al centro punterebbero anche i cattolici in cerca d’autore. E chi sarebbero? Sentiamo cosa dice l’ex coordinatore di Italia viva Ettore Rosato, passato a miglior vita calendiana: «Abbiamo come nostri riferimenti l’associazionismo cattolico, la Dottrina sociale e alcuni movimenti civici – spiega Rosato – convinti come siamo che al centro c’è lo spazio per far nascere un progetto comune che dia voce a tutte queste realtà. Per questo avremo esponenti in lista alle Europee, che condividono questa impostazione, in tutti i collegi». 

Per quanto conosca l’associazionismo cattolico, per averlo frequentato in passato e recentemente solo osservato in lontananza, sinceramente non vedo questa ansiosa volontà di scendere in campo politico: capisco le perplessità più sociali che ideologiche verso il Partito democratico, voglio credere che le sirene meloniane non abbiano molto effetto, ma non vedo al momento niente di alternativo appetibile per questa presunta galassia cattolica.

L’unica prospettiva non viene certo da Renzi e Calenda e nemmeno dal lancio di “Base popolare”, un nuovo cantiere che si apre al centro, il luogo di tradizionale collocazione della visione politica cattolico-popolare, interclassista, che nasce storicamente per tenere unito il tessuto sociale di un Paese e non per lucrare sulle contrapposizioni. Il contenitore già c’è, aspetta solo di essere riempito da protagonisti mossi non dal loro “ego”, ma da una spinta verso il bene comune» (dal quotidiano “Avvenire” – Angelo Picariello).

Senonché i partiti e i movimenti politici non si improvvisano hanno bisogno di fondarsi su radici storiche. Ecco perché l’unica prospettiva seria ed agibile per accogliere le istanze cattoliche progressiste (non di centro perché il centro è qualcosa di politicamente impalpabile, non moderate perché la moderazione non è un programma ma uno stile di comportamento, non ideologiche a meno che con questo termine si voglia fare riferimenti ai valori cristiani, non integraliste perché la migliore tradizione dei cattolici impegnati in politica, da De Gasperi a Moro, è sempre stata e non può che essere aperta al dialogo, al confronto e alla collaborazione) la vedo in una ardita e problematica revisione a caldo del PD, che dovrebbe rivitalizzare il partito alla luce e sulla base dei principi del popolarismo cattolico, ma che, al limite potrebbe portare ad una scissione, che certamente farebbe chiarezza, ma che, come tutte le scissioni rischierebbe di fare gioco a chi resta e non a chi esce.

Scrive l’ex senatore, nonché carissimo amico, Giorgio Pagliari in una lettera aperta a Elly Schlein, pubblicata dalla Gazzetta di Parma: «Il nodo della caratterizzazione politica va comunque sciolto per il bene del Pd, del sistema politico e del Paese: ciò che conta è non restare in mezzo al guado. La scelta, quale che sarà, porterà chiarezza tranne nel caso in cui si decida di non decidere. In tale eventualità, il futuro del Pd e del centro-sinistra si rivelerà effimero. Negli altri casi, quand’anche la scelta fosse – errando, secondo me – quella di superare di fatto il Pd con un ritorno al passato (= cioè trasformandolo in una riedizione di uno dei partiti fondatori), il sistema politico ne trarrebbe – comunque – vantaggio in termini di tenuta democratica e di una eventuale scomposizione che libererebbe energie politiche».

Nel frattempo su questo dibattito quasi surreale arriva la doccia fredda di Nando Pagnoncelli, l’ad di Ipsos, esperto sondaggista nonché membro del Comitato nazionale del cammino sinodale, il quale sostiene che «l’astensionismo crescente di questi ultimi anni investe pienamente anche i cattolici», e si dice scettico sul fatto che ci sia spazio per un nuovo “Ppe italiano” che volesse misurarsi alle prossime elezioni, dandone una spiegazione non confortante: «Anche i cattolici, con la crisi dei partiti, hanno preso a comportarsi come gli altri – sostiene -: non si cerca più chi lavori per il bene comune, ma ci si accontenta della proposta di un leader che prometta di migliorare la nostra condizione». Una concezione della politica che definisce «un po’ egoistica. Ed è a questo livello che bisogna lavorare, per cambiare le cose, sin dalle parrocchie» (dal quotidiano “Avvenire” – intervista a cura di Angelo Picariello).

In conclusione il discorso/percorso, pur interessante e sostanzioso, sarebbe tutto da inventare. Nel frattempo la politica italiana, e non solo italiana, sta letteralmente implodendo su se stessa.

Termino ritornando ai centrocampisti che rischiano di infoltire il centrocampo senza dare sbocchi ad azioni di attacco. In base ad una vecchia, simpatica anche se un tantino triviale, rima dialettale parmigiana, potrei esprimermi così: “Al céntorcampista  l’é vón che primma al la fa e po’ al la pista”.