La vita è incarnata e non teorizzata

Ieri, 04 febbraio 2024, si è celebrata la 46ª Giornata Nazionale per la Vita, sul tema «La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36)».

Sono scattate le solite dogmatiche, schematiche e pregiudiziali condanne di aborto ed eutanasia a cui, da cattolico credente e praticante, non mi associo, perché ritengo che su questi due problemi valga quanto affermava don Andrea Gallo, vale a dire che “ogni caso abbia una sua trama e una valutazione diversa» e che il Vangelo vada applicato col principio della tanto sbandierata e poco praticata misericordia divina.

Figuriamoci quindi se posso accettare la dissertazione precettistica sul discorso della cremazione, che in questo periodo è stata oggetto di attenzione vaticana. Tuttavia riporto di seguito i pronunciamenti al riguardo, poi aggiungerò alcune mie riflessioni tra il serio e il faceto per sdrammatizzare il problema e per andare al sodo del rispetto della vita, che va oltre le ceneri dei bigottismi e dei rigorismi della gerarchia cattolica.

Nessuna dispersione delle ceneri, ma conservazione, preferibilmente, presso un luogo sacro. È una delle risposte che il Dicastero della dottrina della fede ha dato in una nota dopo la presentazione nell’ottobre scorso di una lettera di chiarimento da parte dell’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi.

Due quesiti che nascono dalla constatazione dell’aumento del ricorso alla cremazione dei defunti soprattutto nelle grandi città. Un aumento dettato spesso anche da motivazioni economiche (i costi complessivi potrebbero essere più bassi rispetto all’inumazione del defunto), ma anche dal crescente desiderio dei parenti di disperdere le ceneri del proprio caro in luoghi per lui significativi, a volte su espressa richiesta del defunto stesso.

La nota ribadisce con chiarezza quanto previsto al numero 5 dell’Istruzione “Ad resurgendum cum Christo”, che le ceneri vanno conservate in apposite urne e in un luogo sacro (il cimitero, per intenderci), o in un’area “appositamente dedicata allo scopo, a condizione che sia stata adibita a ciò dall’autorità ecclesiastica”. In realtà la legge civile italiana consente la conservazione delle ceneri anche presso la propria abitazione o in un luogo debitamente segnalato. La Chiesa spiega, invece, che la “conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana. In tal modo, inoltre, si evita la possibilità di dimenticanze e mancanze di rispetto che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione dei parenti”.

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La nota firmata dal prefetto del Dicastero della dottrina della fede, il cardinale Victor Manuel Fernandez, precisa che “è possibile predisporre un luogo sacro, definito e permanente per l’accumulo commisto e la conservazione delle ceneri dei battezzati defunti, indicando per ciascuno i dati anagrafici per non disperderne la memoria nominale”.

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Il secondo quesito posto dall’arcivescovo di Bologna riguardava la possibilità per la famiglia di trattenere in un luogo significativo una parte delle ceneri del proprio defunto. Su questo punto la nota (approvata da papa Francesco lo scorso 9 dicembre), ribadendo la conservazione delle ceneri in un luogo sacro, sottolinea che “l’autorità ecclesiastica, nel rispetto delle vigenti norme civili, può prendere in considerazione e valutare la richiesta da parte di una famiglia di conservare debitamente una minima parte delle ceneri di un loro congiunto in un luogo significativo per la storia del defunto”. (dal quotidiano “Avvenire”)

Evidentemente in Vaticano c’è qualcuno che ha del tempo da perdere. Con tutti i drammatici problemi che assillano l’umanità è possibile che ci si preoccupi di offrire “un punto di vista teologico” alla questione della conservazione delle ceneri conseguenti alla cremazione dei cadaveri? Forse sarebbe meglio impegnarsi per evitare di fare tanti e tanti cadaveri…

Mio cugino raccontava una macabra gag riguardante il disturbo che veniva arrecato all’abitazione dei famigliari di un defunto le cui ceneri venivano conservate in casa, in un’apposita teca: parenti e amici si recavano a questo domicilio per rendere omaggio alle ceneri e la famiglia non sapeva più come difendersi da questo continuo via-vai pseudo-cimiteriale.

Mio padre, nella sua attività di artigiano-imbianchino, aveva un garzone soprannominato “stanco” – un nomignolo che era tutto un programma – per i piedi piatti, l’incedere lento e caracollante, il parlare incerto ed assonnato. Questo ne combinava di tutti i colori, ma era anche oggetto, conseguentemente, di scherzi a volte pesanti che mio padre si sforzava di contenere e di respingere. Durante i lavori di rifacimento di alcune cappelle cimiteriali il povero “Stanco” fu preso di mira bonariamente da due becchini che, anche per sdrammatizzare il loro ingrato mestiere, gli proposero l’acquisto di una “cassa da morto” usata, ancora in buone condizioni dopo l’esumazione del relativo cadavere. “A t’ fèmma un prési bón, s’a t’ gh’è ‘na cantén’na sutta a te gh’la mètt, a t’ fè un afaron”. E più Stanco si scherniva più i becchini insistevano: pose fine alla macabra querelle mio padre offrendo a tutti il solito bicchiere di vino pacificatore.

Ma non è finita qui. Mio padre raccontava di un’altra scena a cui aveva assistito a livello cimiteriale: due becchini impegnati nel loro servizio di esumazione dei cadaveri, che stavano per buttare nel forno crematorio i resti di persone non meglio precisate e senza riferimenti parentali. Uno chiese all’altro: “Ät  tgnu indrè j òs äd cla vcénna?”. “No, am son scordè…mo l’é li stéss…” e prese alcune ossa di un altro soggetto e le mise sbrigativamente nella cassetta destinata ai resti della vecchietta.

Ho richiamato questi episodi per sdrammatizzare un problema se non falso quanto meno secondario. Se proprio vogliamo prendere sul serio la questione, dirò che non mi farò cremare per motivi culturali di rispetto verso il corpo che deve essere lasciato al suo destino naturale.

Se poi riteniamo di affrontare sul piano etico-religioso il tema del trattamento da riservare al corpo post mortem, penso sia interessante leggere quanto scrive Enzo Bianchi, monaco e teologo in libera uscita: “I miei resti mortali sotto terra parteciperanno alla comunione cosmica della vita e degli elementi della natura. Non ho mai coltivato un odio per la materia, per il corpo, tale da indurmi a pensare alla cremazione, questa distruzione che mi sembra la scelta di chi non vuole più sapere dove la persona finisce dopo la morte. Una semplice tomba è una cosa seria: memoria, sito, meta di passi, luogo preciso in cui si sa che giace chi era vivo e ora è morto ma è lì con i suoi resti, collocato in un sito determinato”.

Mi viene spontanea una forzatura evangelica. “A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre».  Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio». L’invito vale per tutti, ma nel caso anche e soprattutto per il Dicastero della dottrina della fede.

Concludo ripiegando sulla mera banalità battutistica.  «Parlèmma ‘d robi alégri» intimarono gli amici di mio padre alla compagnia in vena di discorsi penosi: uno di loro, accettando il perentorio invito, rispose: «Co’ costarala ‘na càsa da mòrt?».