Le pale solidali e il fango democratico

Terzo settore. Meno giovani fanno volontariato. Oltre la solidarietà spontanea che viene fuori con le emergenze, come in Emilia-Romagna, la realtà comunica un disimpegno simile a quanto avviene nel caso della partecipazione politica. Un conto è valorizzare e rendere merito all’impegno volontario di tanti giovani di fronte a un’emergenza, un altro è dedurre che queste forme di attivazione, occasionali e individuali, siano la nuova e crescente modalità di impegno che “bilancia” le perdite nel volontariato organizzato, ovvero quello tipico del mondo delle associazioni. Purtroppo non è così.  (Vanessa Pallucchi sul quotidiano “Avvenire”)

Siamo abituati a leggere la realtà, limitandoci all’evidenza momentanea senza approfondirla adeguatamente. Stiamo in superficie, quasi avessimo timore di andare al di sotto di essa. La immediata santificazione della gioventù in occasione del pur ammirevole schieramento di forze anti-fango, così come quella dei medici anti-covid, non deve distogliere l’attenzione dai problemi etici che riguardano i cittadini italiani e il loro traballante spirito civico: le eccezioni, seppure molto corpose, importanti ed interessanti, confermano la regola di un egoistico e crescente ripiegamento nel privato.

C’è poco da fare, la società è malata e non basta impegnarsi nelle emergenze, ma occorrerebbe spingere perché l’impegno diventi scelta quotidiana di lavoro e/o di volontariato. Credo che al decadimento dei valori si accompagni il qualunquismo politico, a cui solo le catastrofi riescono a mettere la sordina. E allora ecco che la politica, nei suoi momenti di vita istituzionale e di partecipazione democratica, non regge all’assalto o meglio non si prepara a fronteggiare l’assalto.

Non ha senso rifugiarsi nelle pale per poi disertare le urne. Certo meglio le pale degli sballi in discoteca, ma non basta. Anche perché il rischio della retorica della solidarietà non fa bene alla solidarietà stessa.

Facciamo attenzione, allora, a letture semplicistiche, seppure “consolatorie”: il calo di partecipazione è ovunque, non solo nelle “tradizionali” organizzazioni di Terzo settore, e si somma al crollo già ampiamente registrato negli ultimi anni della partecipazione politica ed elettorale. Tutto ciò apre uno scenario decisamente preoccupante, che deve interessare tanto il mondo dell’associazionismo quanto le istituzioni e l’intero Paese: davanti abbiamo tutti il rischio concreto di una società civile sempre più stagnante. E se a causarla sono state anche le ferite emerse nei meccanismi di rappresentanza che hanno minato inesorabilmente il senso di appartenenza a un sistema di valori e prodotto disaffezione e sfiducia verso le istituzioni, la risposta non può essere un’ulteriore spinta alla cosiddetta disintermediazione nell’impegno sociale e politico.

È molto probabile che i giovani volontari “occasionali” accorsi in Emilia-Romagna, oltre a volersi rendere utili in un momento critico, abbiano cercato esperienze di senso di cui avvertono la mancanza quotidianamente, una giusta canalizzazione di quell’energia e desiderio di “sentirsi parte” di qualcosa, che con difficoltà trova altri sbocchi. (ancora l’articolo del quotidiano “Avvenire”)

Da una parte quindi bisogna capire che le emergenze stanno diventando normalità e non si possono affrontare con straordinarie mobilitazioni; dall’altra parte i cittadini, i giovani in particolare, non devono mettersi a posto la coscienza solo col generoso spontaneismo solidaristico, ma partecipando a tutta la filiera socio-politica del Paese, aiutati in questo dalle istituzioni pubbliche e private. Passata l’alluvione gabbato il gap tra bisogni e loro soddisfacimento. Nossignori, passata l’alluvione rimane, anzi cresce la necessità di cambiare registro nei nostri assetti di impegno e partecipazione democratica. Mi preme dirlo ai giovani, anche perché solo da essi può provenire una forte opposizione allo strisciante regime a cui stiamo disgraziatamente abituandoci.

Forse però ai giovani, come sostiene acutamente lo scrittore Antonio Scarati, manca il sentimento della storia, la volontà di leggere il passato per trarne le indispensabili indicazioni. Così facendo si finisce con l’appiattirsi acriticamente sul presente senza speranza e senza voglia di impegnarsi verso il futuro. Il discorso vale per la politica, ma anche per tutto lo spettro culturale, vale a dire per la capacità di porsi di fronte alla realtà non solo per rifiutarne gli aspetti più deprecabili, ma per coglierne le opportunità e le prospettive.

Nel suo recente intervento al meeting dell’amicizia fra i popoli di Rimini, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è rivolto ai giovani con queste parole: «L’amicizia comincia da noi. Dal nostro modo di essere. Dalla nostra voglia di dare più umanità al mondo intorno a noi. La speranza è in voi giovani. Prendetevi quel che è vostro. Comprese le responsabilità e i doveri. Voi avvertite, in maniera genuina, tutti questi problemi. Avete la sensibilità di sentirvi pienamente europei. Più degli adulti. Avete conoscenze adeguate per affrontare, senza timore, le trasformazioni digitali e tecnologiche che sono già in atto. Avete la coscienza che l’ambiente è parte della nostra vita sociale. Che non ci sarà giustizia sociale senza giustizia ambientale; e viceversa. Non vi chiudete, non fatevi chiudere in tanti mondi separati. Usate i social, sempre con intelligenza; impedite che vi catturino, producendo una somma di solitudini, come diceva il mio Vescovo di tanti anni addietro. Non rinunciate, mai, alle relazioni personali; all’incontro personale; all’affetto dell’amico; all’amore; alla gratuità dell’impegno. Il mondo è migliore, se lo guardiamo con gli occhi giusti».