La febbre tifoide nel conflitto israelo-palestinese

Come da enciclopedia Wikipedia, l’antisemitismo, per alcuni sinonimo di giudeofobia, è il pregiudizio, la paura o l’odio verso i giudei, cioè gli ebrei. Secondo la Working Definition of Antisemitism (“definizione pratica dell’antisemitismo”), dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali, “l’antisemitismo è quella certa percezione descrivibile come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro singoli ebrei o non ebrei, e/o contro la loro proprietà, contro le istituzioni comunitarie e contro le strutture religiose ebraiche”.

L’antisemitismo accusa frequentemente gli ebrei di cospirare ai danni del resto dell’umanità, ed è spesso utilizzato per incolpare gli ebrei di uno o più problemi politici, sociali ed economici. Trova espressione orale, scritta e impiega stereotipi sinistri e tratti caratteriali negativi.

Era prevedibile che il bestiale attacco di Hamas contro Israele avrebbe riportato a galla l’antisemitismo che covava e cova sotto la cenere, così come le simpatie verso il fanatismo religioso e verso il terrorismo. Preoccupano le reazioni violente che si intravedono anche in Europa e in Italia. È però inutile scandalizzarsi e gridare al lupo, sarebbe piuttosto importante invece ricercare i motivi di questo assurdo sentimento.

Non ho la presunzione di avere una spiegazione certa e compiuta, ma ritengo che molto antisemitismo dipenda e derivi, come reazione, dalla retorica santificazione dell’ebraismo, da una sorta di filo-ebraismo ante litteram. L’ostilità verso gli ebrei non si combatte dando loro sempre e comunque ragione, ma semmai dialogando con questo popolo ed il suo Stato e vedendone pregi e difetti. Chi osa evidenziare errori politici, sociali ed economici di Israele, soprattutto nei confronti della realtà palestinese, viene immediatamente bollato come negazionista della Shoa o come revisionista storico. Gli ebrei non sono riusciti a instaurare un clima di coesistenza pacifica con i palestinesi, condannandoli all’isolamento e all’ascolto delle sirene arabe.

Dall’altra parte si è portata avanti la strumentale uguaglianza fra Stato palestinese e terrorismo-fanatismo, regalando un popolo in disperata ricerca di spazio all’illusione di trovarlo nell’annientamento dello Stato ebreo.

La situazione geopolitica dei rapporti far queste due realtà non tiene, perché basata sulla prepotenza, sulla vendetta, sul risentimento, sull’odio fra le parti. Chi guarda alle ingiustizie che subisce il popolo palestinese è portato a sposarne acriticamente la causa inneggiando a tutto quanto può servire ad essa, violenza, terrorismo e fanatismo religioso compresi. Chi guarda alle violenze patite dal popolo ebreo, messo in discussione persino nel suo diritto ad avere uno Stato (argomento peraltro ambivalente), finisce col criminalizzare tutto ciò che può essere indistintamente riconducibile alle proteste palestinesi.

In buona sostanza credo che esistano due modi manichei di essere amici degli ebrei o amici dei palestinesi e ciò non aiuta chi ha idee confuse e quindi è portato a rifugiarsi nei pregiudizi storici, religiosi e politici. Proviamo ad affrontare i problemi in modo critico e costruttivo, forse toglieremo brodo di coltura all’antisemitismo, al filo-terrorismo, al fanatismo religioso.

Certo, in questo momento, di fronte alle violenze scatenate contro Israele, è normale che prevalga l’istinto a sposare aprioristicamente la causa ebrea, ma così facendo facciamo del male a tutti e ci inseriamo in una spirale di odio da cui non si esce se non sfogandosi con propositi di guerra e di vendetta.