I nodi meloniani al pettine della storia passata, presente e futura

Giorgia Meloni è partita nella sua esperienza di governo, giocando astutamente su alcuni fattori. Il primo punto a suo favore consiste nel fatto di non aver partecipato ai governi succedutisi nella passata legislatura anche quando avevano nelle proprie file partiti facenti parte dell’area di centro-destra. Questo dato, che peraltro non vale per i suoi alleati, consente a lei ed alla sua formazione politica di scaricare sistematicamente le colpe sui precedenti governi: vale per il PNRR, ma anche in un certo senso per il reddito di cittadinanza, per tante riforme non fatte, per tanti errori commessi, per tanti ritardi accumulati. Un alibi che viene continuamente sbattuto in faccia all’opposizione, ai pochi che osano avanzare critiche, ai suoi stessi alleati in vena di “sgomitamenti” vari, persino ai partner europei ed occidentali.

Giuseppe Conte, il maggior indiziato, si difende con le unghie e coi denti, anche se in modo per la verità non troppo convincente, date le sue stagionali inversione politiche di rotta, dato soprattutto il suo strisciante populismo che si sovrappone a quello della destra e considerato persino il suo consenso ballerino fra destra e sinistra. Non dimentichiamo che il primo governo Conte finì per disperazione verso un Salvini in versione pigliatutto ed il secondo per grazia (?) ricevuta da Sergio Mattarella. Difendersi con questa storia alle spalle non è facile.

Mario Draghi invece tace e mi chiedo il perché. Le motivazioni possono essere diverse. Si sta preparando ad una rentrée col botto a livello europeo e quindi non può perdersi in polemiche che finirebbero per intaccarne l’altissimo livello di stima e considerazione acquisito nel tempo? Si sta addirittura profilando per lui un prestigioso incarico a livello internazionale e quindi non può permettersi il lusso di entrare in collisione con il governo italiano, rischiando di perdere in casa dopo aver magari stravinto in trasferta? Si sta preparando a sostituire Mattarella al Quirinale alla fine del settennato o anche prima, quale uomo super partes a cui nessuno in fin dei conti potrebbe dire di no, vuoi nell’attuale assetto istituzionale, vuoi in un assetto riformato di cui lui potrebbe essere il garante a livello democratico e costituzionale? Si sta tenendo pronto per tornare in sella a livello governativo qualora la situazione interna ed internazionale degenerasse a sfavore dell’Italia e al presidente della Repubblica non rimanesse altra soluzione che quella di riportare Draghi a Palazzo Chigi in un governo di salute pubblica?

Può anche darsi che Giorgia Meloni stia tirando un po’ troppo la corda al punto da indispettire Mario Draghi, costretto a vuotare il sacco ed a controbattere punto per punto al suo subdolo scaricabarile, aprendo una sorta di operazione verità da cui Giorgia Meloni faticherebbe non poco ad uscire indenne. Draghi avrebbe l’autorevolezza, la credibilità, la capacità dialettica di sotterrarla con due parole. Non lo fa per magnanimità nei confronti di questa ragazzetta che si sta montando la testa o per carità di patria o perché magari è tenuto a freno da Mattarella col quale molto probabilmente continua ad avere un collegamento piuttosto consistente o perché (la peggiore delle ipotesi) è timoroso che possa venire fuori qualche scheletro politico dall’armadio lasciato in fretta e furia a Palazzo Chigi?

Giorgia Meloni sta navigando in acque molto difficili, appoggiandosi ad una politica internazionale fatta di tatticismi addirittura piuttosto contraddittori, ma che al momento la stanno legittimando in un ruolo che, al momento del varo del suo governo, sembrava assolutamente fuori della sua portata e della sua storia. L’altra fortuna meloniana consiste nella debolezza politica dei partner europei e di tutti i protagonisti sulla scena mondiale: in mezzo a tanta “tolfa” ci può stare tranquillamente anche lei. Fino a quando non so, probabilmente fino alla prossima risatina ironica tra Macron e Scholz, magari dopo le elezioni europee in cui probabilmente naufragherà l’ambizioso ed avventato disegno popolar-conservatore della nostra premier.

Non so neppure fino a quando potrà nascondersi dietro la guerra Russo-Ucraina con la quale vuole far credere agli Usa di essere un alleato super-fedele, puntando sull’amicizia anche personale con Joe Biden e presentandosi come la più convinta governante al fianco della resistenza ucraina. Potrebbe bastare poco a metterla in buca: l’auspicabile apertura di un tavolo di pace in cui Giorgia Meloni avrebbe poco da dire; la deprecabile vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali americane. Lei si sta preparando anche a queste eventualità, giocando un ruolo persino nei confronti della Cina e millantando credito a livello africano; quanto a Trump, suo riferimento storico, non esiterebbe a scaricarla e a sacrificarla sull’altare di un nuovo corso riveduto e scorretto.

Forse però, come sostiene Massimo Cacciari, il gioco di palleggiarsi tra il livello internazionale e quello interno (consentito anche dalla pochezza della sinistra politica e sindacale) non potrà durare all’infinito. La cartina di tornasole per la durata e la stabilità del governo Meloni potrebbe essere l’esito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Lì le balle stanno in poco posto e, se il Paese ne dovesse uscire becco e bastonato, per Giorgia Meloni potrebbero essere guai seri. Non c’è da augurarselo, sarebbe una vera e propria debacle nazionale, una sconfitta da tutti i punti di vista, anche se gli italiani un po’ se la meriterebbero dopo avere scherzato ripetutamente nelle urne.

Il Presidente Mattarella al riguardo ha sventolato il ventaglio in faccia a tutti con parole inequivocabilmente dure: “Lei ha parlato del PNRR. Ne ho più volte sottolineato la portata decisiva per il nostro futuro. Vorrei oggi porre in evidenza che non si tratta di una questione del Governo, di questo o dei due governi precedenti, ma dell’Italia. L’invito a tutti a mettersi alla stanga – per usare ancora una volta questa espressione degasperiana – che mi ero permesso di avanzare tempo addietro, è rivolto appunto a tutti: quale che sia il livello istituzionale, quale che sia il ruolo politico, di maggioranza o di opposizione. Quale che sia il ruolo di soggetti della società riguardo ai temi che il Piano affronta. Dobbiamo avvertirne tutti il carattere decisivo per l’avvenire dell’Italia e tener conto, pertanto, allo stesso tempo, di non esserne estranei; di esserne, certamente in misure diverse, responsabili; di dover recare apporti costruttivi. Un eventuale insuccesso o un risultato soltanto parziale non sarebbe una sconfitta del Governo ma dell’Italia: così sarebbe visto e interpretato fuori dai nostri confini e così sarebbe nella realtà”.

Se tanto mi dà tanto non siamo messi bene ed il rischio di uno storico flop si profila all’orizzonte. Tale rischio potrebbe essere addirittura la ossimorica e paradossale polizza assicurativa sulla vita del governo: chi potrebbe dare una spallata, conseguente alle quotidiane vergognose “marachelle”, con la conseguenza di creare un vuoto di potere che potrebbe rivelarsi catastrofico? A volte nella storia è successo che siano stati tollerati personaggi negativi per non cadere dalla padella del malgoverno alla brace del non-governo.

Giorgia Meloni cadrà trascinando l’Italia in un disastroso fallimento? Cadrà prima, scongiurando questo pericolo, ammesso e non concesso che dietro l’angolo possa esserci una soluzione alternativa all’altezza della situazione (andremo in ginocchio da Draghi a chiedergli di tornare in pista?). Vivacchierà puntando tutto sulla comprensione europea, sulla tenuta burocratica del Paese e sulla bonomia tecnocratica della tanto bistrattata Ue? Si rafforzerà vincendo questa enorme scommessa, salvo magari perdere le prossime elezioni (gli Italiani sono ormai specializzati in schizofrenia elettorale)? Chi vivrà vedrà.

Se mia madre, per sua indole e per suo carattere, al colmo del pessimismo arrivava a desiderare la morte (e chi non vive di questi momenti?), papà la rimproverava amabilmente dicendo: “Stat miga preocupär l’é tutta questión ‘d pasensia”.  La pazienza della storia ci darà le risposte ai tanti quesiti di cui sopra, ma sarà una pazienza niente affatto indolore