Le convergenze parallele di Moro e Bettazzi

  • È morto monsignor Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, costruttore di pace. Aveva 99 anni, era l’ultimo padre conciliare ancora vivente. Presidente di Pax Christi partecipò alla marcia della pace nel 1992 a Sarajevo. Fu protagonista del dialogo sul rapporto tra la fede cattolica e l’ideologia marxista ma soprattutto sul valore della laicità. Bettazzi scrisse a Berlinguer il 6 luglio 1976, avendone risposta un anno dopo: il 14 ottobre 1977. «Mi scusi – scrisse Bettazzi – questa lettera, che molti giudicheranno ingenua, e non pochi contraddittoria con la mia qualifica di vescovo. Eppure mi sembra legittimo e doveroso, per un vescovo, aprirsi al dialogo, interessandosi in qualche modo perché si realizzi la giustizia e cresca una più autentica solidarietà tra gli uomini. Il “Vangelo”, che il vescovo è chiamato ad annunciare, non costituisce un’alternativa, tanto meno una contrapposizione alla ‘liberazione’ dell’uomo, ma ne dovrebbe costituire l’ispirazione e l’anima». (dal quotidiano “Avvenire”).

 

  • “Aldo Moro, i giovani e noi, un’amicizia viva”, sarà il tema di un incontro al Meeting, nel pomeriggio del 25 agosto, giorno conclusivo che – in mattinata – vedrà la presenza del presidente Mattarella, grande cultore, è noto, del pensiero moroteo. In sala Neri, alle 17, introdotti da Salvatore Taormina della redazione culturale del Meeting, interverranno Agnese Moro, terza figlia dello statista, lo storico Agostino Giovagnoli e Saverio Allevato, ex responsabile degli universitari di Cl. «Dedicò – spiega Giovagnoli – grande attenzione ai tempi nuovi che si annunciavano, come disse in uno storico intervento al Consiglio nazionale Dc del 22 novembre 1968. Messo ai margini nel suo partito, trovò modo per dedicare tutto sé stesso alle istanze giovanili guardando con interesse ai nuovi movimenti, incontrando anche i capi della contestazione». E niente più dei rapporti con i suoi studenti parla della centralità della persona che caratterizza la nostra Costituzione, sulla sua spinta decisiva, come testimoniano quelle tesi di laurea insanguinate recapitate alla famiglia, che aveva con sé al momento del rapimento, avendo intenzione di discuterle quella mattina, nonostante gli impegni istituzionali legati al dibattito sulla fiducia al governo Andreotti. E a Rimini la centralità della persona sarà esaminata proprio in relazione, soprattutto, al suo impegno per i giovani e per la pace: «Cercheremo di condividere – spiega Agnese Moro – alcuni aspetti della sua vita che, spero, possano accompagnarci anche oggi». Un giorno Rocco Buttiglione e Aldo Moro si fermarono a parlare. Moro mostrava grande interesse, e la differenza di approccio, con Cl, fu per lui motivo di ulteriore interesse. Ricorda Buttiglione: «Scoprivamo tanti punti di incontro. “Voi siete un pochino integralisti – mi disse una volta -. Ma l’integralismo è una malattia infantile da cui si guarisce sempre troppo presto. E chi non è stato un po’ integralista da giovane, da vecchio finisce per diventare cinico”». (dal quotidiano “Avvenire” – Angelo Picariello).

Moro e Bettazzi, due personaggi alla spasmodica ricerca del dialogo, a costo di essere equivocati ed emarginati, anche a costo della propria vita. Due uomini che sapevano ascoltare prima di parlare.

Di Bettazzi è importante ed emblematico ricordare che fu tra i firmatari del “Patto” stipulato da alcuni Padri Conciliari nelle catacombe di Domitilla durante il Concilio Vaticano II.

«Noi vescovi rinunziamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente nelle vesti (stoffe di pregio, colori vistosi) e nelle insegne di metalli preziosi (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Nel nostro modo di comportarci, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo ciò che può provocarci privilegi, precedenze o anche di dare una qualsiasi preferenza ai ricchi e ai potenti (per esempio: banchetti offerti o accettati, “classi” nei servizi religiosi ecc.)».

Fu oggetto di aspre critiche da parte della gerarchia e del mondo cattolico: il vescovo rosso (la solita menata…). Il dialogo e la pace, due punti fondamentali del suo impegno pastorale, due presupposti evangelici per i cristiani che vogliono testimoniare il Vangelo nel mondo.

Celebre anche per le battaglie per l’obiezione fiscale alle spese militari, sostenne l’obiezione di coscienza quando ancora si rischiava il carcere e nel 1992 partecipò alla marcia pacifista organizzata a Sarajevo da “Beati costruttori di pace e Pax Christi” insieme a don Tonino Bello nel mezzo della guerra civile in Bosnia ed Erzegovina.

Sette anni dopo, la rinuncia alla guida della diocesi di Ivrea per raggiunti limiti di età, un passo che però non ne segnò la pensione come comunemente la si potrebbe intendere. Anzi nel 2007 si dichiarò favorevole ai Dico, disegno di legge presentato dal governo Prodi sui “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”, comprese le coppie omosessuali.

Gli ultimi anni sono stati ancora all’insegna dell’educazione alla nonviolenza (ha partecipato a tutte le Marce della pace organizzate il 31 dicembre) e della riflessione sul Concilio Vaticano II. (dal quotidiano “Avvenire”)

Che dire di Aldo Moro? Mi basta richiamare una frase scritta nel 2004 da Franco Tritto, suo allievo e discepolo: «La storia dell’Italia ha mutato rotta dopo la sua scomparsa: nulla è più come prima. Il disegno di Aldo Moro era quello di salvare l’Italia dalla situazione babelica che oggi viviamo e della quale egli aveva avvertito da tempo i segni premonitori».

Non sapevo del suo interessamento verso i giovani di Comunione e Liberazione, così lontani dalla sua impostazione politica, ma evidentemente oggetto di grande attenzione: loro erano integralisti e lui no. Stupenda la frase sopra riportata, ricordata da Buttiglione, non certo politicamente un suo fan: «Scoprivamo tanti punti di incontro. “Voi siete un pochino integralisti – mi disse una volta -. Ma l’integralismo è una malattia infantile da cui si guarisce sempre troppo presto. E chi non è stato un po’ integralista da giovane, da vecchio finisce per diventare cinico”». Frase stupenda, che meriterebbe una tesi di laurea interdisciplinare.

Tra i diversi libri che ho sulla vita di Aldo Moro, ce n’è proprio uno sul rapporto stupendo che aveva con gli studenti. Li leggo e li rileggo col nodo in gola. Ricordo una scena emblematica in un film sulla vita di Moro (non ricordo quale): lui sta facendo lezione all’università e nell’aula fa irruzione un gruppo di contestatori. Moro non scappa, anzi tenta un dialogo, ma questi giovani lo rifiutano malamente. Non rinunciava mai al dialogo! Un gruppetto di suoi studenti nel corridoio commenta: “Il professore non merita un simile trattamento…”. É sempre così: nella vita chi si sforza di andare incontro alla protesta, di smorzare i toni violenti e di dialogare pacatamente ha tutto da rimetterci…

Per quanto riguarda la contestazione giovanile del ’68, Massimo Cacciari in una intervista a Tv 2000 sostenne che fu un movimento tale da ribaltare tutti i rapporti e tutte le mentalità e che nessun politico italiano seppe individuare, ascoltare e, tanto meno, interpretare. Poi si corresse e aggiunse: “Ad eccezione di Aldo Moro che vi dedicò un suo intervento”. Molto probabilmente si tratta del discorso richiamato appunto dallo storico Agostino Giovagnoli. Moro ha sempre qualcosa da dire, non a caso gli hanno chiuso la bocca.

Evidentemente questi due uomini, attenti a tradurre, nel dialogo e nel confronto con tutti, gli ideali evangelici di giustizia e pace, erano legati da un filo autenticamente cristiano. Nel 1978, Bettazzi compì un’altra scelta “scomoda”. Assieme ai vescovi Clemente Riva e Alberto Ablondi, chiese di potersi offrire prigioniero in cambio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse. La richiesta, tuttavia, venne respinta dalla Curia Romana e Bettazzi raccontò che, quando fece presente che si trattava di una vita umana e non di un fatto politico, ricevette in risposta la frase “È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”.