Le passerelle zelenskyane e le speranze di pace

L’atteggiamento di sostegno bellico all’Ucraina viene definito con un’espressione equivocamente retorica come una battaglia per la libertà di chi muore anche per noi. Non voglio essere disfattista, ma a me sembra invece una comoda istigazione a combattere in nome nostro contro quello che abbiamo strumentalmente ribattezzato come un nemico comune.

Viene prima la libertà o la pace? Il solito sciocco enigma insolubile. Sono facce della stessa medaglia. Per essere veramente libero devo puntare alla pace e per essere operatore di pace devo farmi forza sulla mia ed altrui libertà.

Siamo proprio sicuri che continuare ad armare l’Ucraina serva a difendere la sua e la nostra libertà? Quale libertà si costruisce con le armi? A quale pace si arriva sprecando immani risorse a livello militare?

“Si può certo stigmatizzare e condannare l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina (ma contestualmente si dovrebbero valutare le provocazioni ucraine dal 2014 in poi: la guerra è in realtà scoppiata allora), ma l’invio di armi (e, peggio ancora, d’istruttori e di “consiglieri militari”) è propriamente un atto che fa diventare l’Italia “paese ostile” nei confronti della Russia. Alla pace si arriva in vari modi: i principali sono quelli diplomatici e commerciali. Nei confronti della Russia abbiamo una tradizione di rapporti diplomatici che fino all’inizio del conflitto faceva d noi degli interlocutori graditi e rispettati da parte del governo russo: un fermo invito alla pace, con avviso di provvedimenti di chiusura totale da parte nostra, se fosse diretto in modo rigoroso al Cremlino al di là di qualunque sospetto di una nostra azione richiesta o sollecitata da altre potenze (per esempio gli Usa), fornirebbe al governo russo l’occasione per contare su un possibile ritorno a rapporti amichevoli; ed esso in questo momento ne ha bisogno per rompere l’accerchiamento occidentale. Quanto alla fornitura di armi, è chiaro che possiamo sospenderla nei confronti dell’Ucraina solo informando il governo russo che tale sospensione è direttamente e rigorosamente collegata all’immediato “cessate il fuoco” da parte delle sue forze combattenti. A questi patti, sospendere l’invio delle armi significa sollecitare l’Ucraina alla pace, non abbandonarla al suo destino”.

Così risponde Franco Cardini ad un’intervista rilasciata a Paolo Viana del quotidiano “Avvenire”, intitolata: «Un errore continuare ad armare Kiev». Lo storico e saggista è tra i promotori del referendum contro gli aiuti bellici: giusto votare sì perché dove c’è guerra bisogna aprire una speranza di pace.

Prima di prendere le armi bisogna usare tutte le strade possibili e immaginabili. A chi fa un parallelismo tra la resistenza al nazifascismo e quella al putinismo, mi permetto di ricordare come il nazifascismo fu tollerato per molto tempo così come è successo anche per il putinismo. Il mio amico e medico curante sosteneva che, anche davanti alla più difficile delle malattie ed alla più drastica delle diagnosi, vale a dire “non c’è più niente da fare”, ci fosse sempre e comunque spazio per tentare di fare qualcosa non fosse altro che per attutire il dolore. La metafora mi serve per argomentare le ragioni al fine di sfruttare anche la più piccola, apparentemente incredibile e residuale possibilità di pace. Solo dopo averle tentate veramente tutte si potrà fare ricorso alla lotta armata.

La Resistenza non è nata improvvisamente nel 1943, ma durante tutto il ventennio fascista: qui l’antifascismo si è fatto le ossa ed è diventato libertario e pacifico, pronto alla guerra di liberazione. Ho l’impressione che in Ucraina, pur col massimo rispetto verso chi sta coraggiosamente resistendo all’invasore, si sia partiti dalla fine, senza sperimentare tutte le strade possibili e rassegnandosi ad un conflitto senza vie d’uscita. Le guerre non scoppiano mai per caso ed hanno molti responsabili dietro le quinte.

Dice ancora Franco Cardini: “Se si vuole davvero la pace l’invio di armi deve cessare subito, da parte di chiunque e nei confronti di tutti: e il diretto, fermo e sistematico controllo al riguardo da parte della Nazioni Unite è necessario”.

I governanti occidentali hanno il coraggio di provocare Volodymyr Zelensky in tal senso o si limitano a dargli qualche pacca sulle spalle a suon di carri armati, droni, etc. etc.? E non sarà il caso di smetterla con le passerelle Zelenskyane per discutere seriamente di percorsi di pace?