Una ventata di democrazia pulirebbe l’aria ecclesiale

Parto col ricordare come il 31 gennaio 2023 sia entrata in vigore la nuova costituzione apostolica “In Ecclesiarum Communione” di papa Francesco, che prevede una nuova procedura per la nomina dei parroci, con tanto di preciso discernimento sulla situazione della parrocchia e di coinvolgimento collegiale anche del Consiglio pastorale. Come scrive Dario Valli in una interessante lettera al mensile Jesus, “la vera novità è espressa in quattro parole, dove si dice che il vescovo dovrà «ascoltare il Consiglio pastorale», vale a dire i laici, i rappresentanti dei fedeli. Una novità messa per iscritto dal Papa per la sua diocesi, che altre Chiese locali dovrebbero prendere in seria considerazione. Invece fino ad oggi, generalmente, il trasferimento di un parroco e la nomina del suo successore sono stati avvolti nel più stretto riserbo clericale e la comunicazione ai fedeli viene data sempre e solo a cose fatte. Che il popolo di Dio possa esprimere un parere sulle necessità della comunità parrocchiale sembra un buon passo verso una Chiesa più normale”.

Un piccolo passo per la Chiesa? A prima vista si direbbe di sì. Poi arriva una “doccia fresca”. La Chiesa «è comunione, che è molto di più della democrazia. Quando la Chiesa diventa democrazia, a mio parere si impoverisce». Il cardinale Matteo Zuppi lo dice senza mezzi termini nell’aula magna della Pontificia Università della Santa Croce, dove è stato invitato a parlare sul tema “La Chiesa in Italia: prospettive e sfide”.  «Il Concilio – sottolinea il presidente della Cei – ci ha ricordato che la Chiesa è popolo di Dio e comunione. A mio parere se c’è una cosa del Concilio che abbiamo capito e praticato poco, perché molto impegnativa, è proprio la comunione. Magari abbiamo praticato più il protagonismo, l’originalità di ciascuno, ma se non c’è la comunione queste cose diventano divisive. Dobbiamo insistere sulla comunione e cioè che le nostre comunità siano familiari».

Dino Calderone, membro del gruppo “In cammino: per le riforme di papa Francesco” (Messina), che aderisce alla Rete dei Viandanti, scrive come di seguito.

“Nel documento post conciliare Communio et Progressio del 1971, si legge: «chi ha responsabilità nella Chiesa procuri d’intensificare nella comunità il libero scambio di parola e di legittime opinioni ed emani pertanto norme che favoriscano le condizioni necessarie per questo scopo».

La formazione di un’opinione pubblica libera presuppone una molteplicità di centri come giornali, riviste, associazioni, interessati non solo a fare circolare idee ma anche a controllare chi governa perché non è giusto lasciare senza controllo l’amministrazione ed il governo di parrocchie, diocesi, ma si deve esigere il massimo di pubblicità degli atti di governo interni alla chiesa.

Se il battezzato non può esercitare il diritto di valutare le azioni del parroco e del vescovo e fare conoscere pubblicamente ciò che ne pensa, siamo di fronte ad una visione assolutista dell’autorità che non sopporta la presenza dell’opinione pubblica. Non si può escludere la comunità ecclesiale da un confronto serio e leale su tante questioni anche scottanti come se l’origine divina della chiesa le garantisse infallibilità sul piano storico ed umano, una vera eresia questa, una specie di monofisismo ecclesiale che della duplice dimensione della chiesa coglie solo la dimensione divina.

Per esempio, ad oltre cinque anni dalla pubblicazione di Amoris Laetitia, a che punto è la sua attuazione nelle singole diocesi? Cosa possono fare i fedeli laici delle diverse chiese locali per stimolare la recezione di questa importante Esortazione apostolica?”.

E allora? Mi sembrano tre voci che, se non sono contrastanti, non sono nemmeno molto concordanti. Non credo si tratti di un esempio di democrazia. Siamo ancora a livello di opinioni e non di procedure dibattimentali e decisionali. Credo che un po’ di sana democrazia non farebbe male all’interno della Chiesa. Sarebbe interessante verificare cosa pensano i cattolici praticanti sui temi caldi della partecipazione dei divorziati alla vita della Chiesa, sul celibato sacerdotale, sulla responsabilizzazione del laicato, sul ruolo della donna, sull’etica sessuale («vogliono mettere tutto il mondo in un preservativo», si dice che così commentasse Bergoglio con gli amici alla vigilia del conclave che elesse papa Ratzinger), sul fine vita, sui rapporti della Chiesa con gli omosessuali, etc. etc.

Può sembrare il libro dei sogni di un povero cristiano, ma può darsi invece che, stranamente, l’esaltazione della tradizione, concomitante alla morte di Ratzinger, possa diventare la tomba della conservazione, intesa come difesa a denti stretti del passato. L’azione dello Spirito Santo non consiste forse proprio nel buttare all’aria gli schemi?