Ma Gesù parlava più chiaro…

Dopo le dichiarazioni di Georg Gänswein parla monsignor Piero Coda, segretario generale della Commissione teologica internazionale. In una lunga ed interessante intervista rilasciata a Riccardo Maccioni sul quotidiano Avvenire, osserva come rattristino le critiche e i malcontenti insorti dopo la morte di Benedetto XVI, arrivando ad un’affermazione forte: il chiacchiericcio distrugge l’atmosfera di fraternità. Il tono è piuttosto aulico, ma la musica è abbastanza precisa e decisa.

Al termine dell’intervista gli viene chiesto: “Ma a suo modo di vedere qual è l’eredità più importante che ci ha lasciato Benedetto XVI?”. Il teologo risponde così: «Suo imperdibile contributo è stato richiamare con la sua autorevolezza di uomo di Dio e di grande teologo una decisiva verità: l’opera di rinnovamento messa in moto dal Vaticano II va promossa in presa diretta col nucleo vivo del Vangelo di Gesù e nell’alveo della Tradizione ecclesiale, immaginando oggi con uno slancio nuovo quell’allargamento della ragione in dialogo con la fede che solo è capace d’implementare le strutture portanti – a livello culturale, politico, economico – di una città planetaria della verità, della giustizia, della fraternità e della pace».

Ho letto e riletto più volte questa sintetica descrizione del papato ratzingeriano, alla fine mi sono dovuto arrendere: non ho capito niente. Sicuramente è tutta colpa della mia ignoranza, anche se mi sono chiesto cosa capirà il popolo di Dio di queste dotte dissertazioni. Mi consolo col fatto che Gesù non era un prete, non era un teologo, non era uno scriba, non era uno studioso delle scritture anche se le citava in continuazione, non era un cattedratico e parlava in dialetto. Comunque mi sono venute in mente alcune cose.

La prima è la diffidenza espressa da papa Francesco nei confronti della «teologia»: difficile per esempio dimenticare la sua battuta, tra il faceto e il molto serio, nei riguardi dei teologi degni di essere confinati in un’isola deserta a risolvere i loro problemi. 

La seconda è il provocatorio scetticismo di don Andrea Gallo: «Non mi curo di certe sottigliezze dogmatiche, perché mi importa solo una cosa: che Dio sia antifascista!». Più chiaro di così! Metto questa affermazione in stretto collegamento con quanto mi ha recentemente detto un mio carissimo amico in ordine al dibattito riapertosi con una certa virulenza tra conservatori e progressisti all’interno della Chiesa: «C’è poco da sottilizzare, Vangelo è di sinistra!». Sarà vero che le categorie e gli schemi politici non si adattano alla vita della Chiesa, ma non v’è dubbio che la portata del messaggio evangelico sia rivoluzionaria e comporti una forte disponibilità all’impegno sociale e politico finalizzato alla giustizia.

La terza la colgo da un breve passaggio del discorso tenuto dal cardinal Carlo Maria Martini a Vallombrosa nel 1984: «La prassi cristiana non riesce a trovare il giusto rapporto tra la speranza escatologico-messianica e le speranze, le aspettative degli individui e delle comunità, in relazione alla giustizia, ai diritti umani e così via». Chissà perché parlando di Joseph Ratzinger mi viene spontaneo pensare a Martini.

Ecco perché concludo con il ricordo fatto dal caro amico don Luciano Scaccaglia del cardinal Martini: «Tre anni or sono moriva il card. Carlo Maria Martini, grande studioso della Bibbia, pastore e profeta. Sulle orme di Gesù, partendo dalla giustizia quale conseguenza della fede, era aperto alle persone, non facendosi mai imprigionare dagli e negli schemi,  con una grande attenzione ai non credenti, ai poveri, ai malati, agli indigenti, agli stranieri, agli omosessuali, alle coppie di fatto, ai divorziati risposati, ai detenuti, financo ai terroristi; affrontava serenamente il dialogo con le altre religioni, si poneva, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale. Sempre pronto all’incontro con gli “altri”, con tutti».

Chiedo scusa a monsignor Coda se mi sono permesso di mettere un pizzico di veleno sulla coda della sua bella e importante intervista: non so se arriva alle mie seppur indirette e discutibilissime conclusioni di cui sopra. Forse sì, forse no. A risentirci alla prossima morte di papa.