Piangere sul divismo versato

Il mondo del calcio è ormai talmente sputtanato da doversi rifugiare nelle pericolose patriottiche gioie dei tifosi e nei coccodrilleschi pianti dei calciatori. Ai campionati del mondo, dopo le sbruffonate (vedi i lunghi balletti brasiliani, irridenti verso l’avversario e sopportati da un omertoso arbitro) arrivano puntuali le delusioni più o meno clamorose: i Neymar, i Kane, i Ronaldo piangono. Non c’è niente da piangere, anzi ci sarebbe molto da piangere sul calcio, sul buffonesco professionismo dei calciatori, soprattutto dei divi del pallone.

Mio padre, così come era obiettivo e comprensivo, sapeva anche essere intransigente verso le scorrettezze dei giocatori. Soprattutto pretendeva molto dai grandi campioni superpagati, arrivava alla paradossale esigenza del goal ad ogni tiro in porta per un fuoriclasse come Zico (col da la ghirlanda) incoronato re di Udine al suo arrivo nella città friulana: cose da pazzi! Ma non solo con Zico anche con altri cosiddetti fuoriclasse: mio padre non accettava gli ingaggi miliardari, ne avvertiva l’assurdità prima dell’ingiustizia, faceva finta di scandalizzarsi, ma in realtà coglieva le congenite contraddizioni di un sistema sbagliato.

Mi spiace stonare nel coro osannante a Diego Armando Maradona, ma, a proposito di divismo calcistico, non posso esimermi dal ricordare. Ero alla fermata di un autobus ed attendevo con la solita impazienza l’arrivo del mezzo pubblico; accanto a me stavano un giovane padre assieme a suo figlio bambino, ma non troppo. Sfogliavano un giornale sportivo e leggevano i titoloni: il più eclatante diceva della pesante squalifica comminata a Maradona per uso di sostanze stupefacenti. Si, il grande Maradona beccato con le dita nella marmellata. Il bambino ovviamente reagì sottolineando la gravità della sanzione ed espresse, seppure un po’ nascostamente, il suo rincrescimento per l’accaduto. Qui viene il pezzo forte, la reazione del padre che vomitò (non so usare un verbo migliore): “Capirai quanto interesserà a Maradona con tutti i soldi che ha!!!” Il bambino non replicò e l’argomento purtroppo si chiuse così. Non so ancora darmi ragione del mio silenzio, ma forse fu dovuto al fatto che una bestialità simile non me la sarei mai aspettata da un padre: ci fosse stato “mio padre” non avrebbe taciuto. In poche parole quel signore aveva lanciato un messaggio negativo, diseducativo all’ennesima potenza. Era come dire al proprio figlio: “Ragazzo mio, nella vita conta solo il denaro, delle regole te ne puoi fare un baffo, della correttezza fregatene altamente”. Arrivò finalmente l’autobus, il tutto finì lì, ma ringraziai mio padre perché non ragionava così.

I divi del pallone, i più insopportabili fra tutti i divi. Forse vogliono in extremis tornare ad essere persone normali, che ridono e piangono, ma non sono credibili. Naturalmente il pubblico li scusa anche quando fanno cilecca: è tutta colpa degli allenatori… o degli arbitri…

“Ig dan tròp sòld”, commentava mio padre: di fronte a certi compensi da nababbo ai calciatori professionisti diceva che li avrebbe voluti vedere ad affrontare una squadra di muratori remunerati allo stesso livello? Ciò significa che non sopportava le ingiustizie in genere, ma nemmeno le storture del pianeta calcio, gioco di cui peraltro ammirava l’essenzialità e la semplicità abbinate alla spettacolarità.

Forse invece di mettere mano al fazzoletto per asciugarsi le lacrime di coccodrillo, sarebbe opportuno che si mettessero una mano al cuore per essere più corretti e leali ed una al portafoglio per essere più sobri e generosi.