Meglio il calore trasgressivo della tiepidezza perbenista

«L’amore di Dio che nell’Eucaristia ci raggiunge nella semplicità dei segni e del rito non ci dà il diritto di agire con disinvoltura o addirittura con trascuratezza e superficialità. Quanto emerge dal video che tu hai diffuso dimostra invece proprio questo: il contesto, l’abbigliamento, il modo di trattare le sacre specie, la libertà nel formulare le orazioni e la stessa preghiera eucaristica, alcune battute fuori luogo e infelici. Non si può condividere tutto questo».

Lo scrive il vescovo di Brescia Pierantonio Tremolada in una lettera a don Fabio Corazzina il quale, «in occasione di un tour ciclistico in Sicilia», ha celebrato Messa in diretta Facebook indossando un completo da ciclista. Il rito si è svolto domenica 11 settembre a Mazara del Vallo, con un tavolo come altare posto sotto un albero. (dal quotidiano “Avvenire”)

Niente in confronto alla recente sospensione a divinis comminata al prete spezzino, che ho già avuto modo di attenzionare. Se il buon giorno si vede dal mattino, si comincia coi perbenismi sacramentali e parrocchiali e si arriva a mettere alla porta chi si permette di dissentire alla luce del Vangelo. “’Na giornäda bargnìfa”, così mia madre definiva quelle giornate che partono male e sono destinate a non raddrizzarsi: e di simili giornate purtroppo la storia passata e presente della Chiesa ne ha parecchie.

Torno però alla formale intransigenza riguardo ai riti sacramentali. Sarò fissato ma, in un mondo divorato dalle povertà, dalle inequità, dalle guerre, non capisco questa ansia perbenista riguardo all’Eucaristia che è fin troppo semplice ed immediata nei suoi segni: è scandaloso che Dio si trasformi in pane e vino? Sì, più scandaloso di così! E allora cosa c’è di strano e debordante se la Messa viene celebrata sotto un albero con paramenti ciclistici? Non ho visto il video, ma sono sicuro che mi piacerebbe nella sua ardita spontaneità e sono altrettanto sicuro che Gesù non andrà per il sottile. Capirai se un Dio, che non esitava a banchettare con pubblicani e prostitute, si farà impressionare da una liturgia calata a pieno titolo nella realtà. Ma fatemi il piacere…

 Campetti regolamentati “per sensibilizzare”: il vescovo di Frascati, Raffaello Martinelli, è decisamente d’accordo col suo parroco di San Giuseppe a Cocciante, quartiere di Frascati (Roma), che appunto ha regolamentato gli ingressi ai campetti di calcio dell’oratorio per arginare maleducazione e danneggiamenti. “Non siamo per la repressione, ma per la prevenzione”, spiega il vescovo: “Si entra ai campetti dalle 16 alle 19.30”, cioè “Un gesto simbolico per responsabilizzare anche la comunità degli adulti” e “se ci fossero genitori disponibili nel dopo lavoro o anche pensionati si potrebbe aprire anche di più”.

Del resto era un pezzo ­- spiega don Franz Vicentini, il parroco – che “i ragazzi entravano a tutte le ore, anche scavalcando le reti”. Un pezzo che lì dentro c’erano “bestemmie, parolacce, problemi. Ho avuto anche danni alle porte, alle reti, alle recinzioni, i vetri rotti della chiesa perché tirano pallonate per noia”. Così “mi sono detto: creiamo il problema per risolverlo”. Con regole chiare. Ci sono questi campetti e “io voglio che i ragazzi giochino – va avanti don Franz – ma devono avere un certo comportamento: non devono bestemmiare, non devono lasciare immondizia per terra, non devono mettersi le mani addosso. Non devono scavalcare”.

Fosse per il vescovo, “Terrei le chiese aperte ventiquattr’ore su ventiquattro. D’estate, il sabato la cattedrale resta aperta fino a mezzanotte”. Però “serve responsabilità e rispetto del bene comune. Un po’ di educazione civica anche nelle famiglie non guasta”. E se è vero – conclude monsignor Martinelli -che “la maleducazione c’è ovunque purtroppo e che non si possano alzare muri per arginarla, chiedere però maggiore responsabilità è sacrosanto”. (dal quotidiano “Avvenire”).

È più formativa la dialogante tolleranza verso certi comportamenti trasgressivi dei ragazzi o la preoccupazione di omologarli alle regole della buona (?) educazione? Se è giusto ed opportuno tenere aperte le chiese, come si possono chiudere i campetti parrocchiali? Non preoccupiamoci delle bestemmie che volano, preoccupiamoci magari delle preghiere che non volano. La vicinanza ai giovani val bene un vetro rotto. Meglio un po’ di casino parrocchiale di quello delle “movide” urbane e delle discoteche extra-urbane.

Il mio carissimo amico don Sergio Sacchi era un prete costantemente dalla parte degli ultimi, un prete che non aveva paura di sporcarsi le mani coi problemi sociali. Mia sorella, in linea col suo temperamento, in una occasione gli rimproverò di non essere sufficientemente severo con il crocchio di giovani che stazionavano pigramente e chiassosamente sulla scalinata della chiesa di S. Maria del Rosario. Non negò l’evidenza, ammise di essere intervenuto più volte per convincere quei ragazzi a tenere atteggiamenti più consoni al luogo, ma confessò apertamente di non avere il “coraggio” di cacciarli via in malo modo: erano o non erano anche loro parrocchiani bisognosi di attenzione ed accoglienza. Don Sergio trovò in quell’occasione (e non solo in quell’occasione) un deciso avvocato difensore in mia madre: «Al fa bén, un prét al ne manda via nisón. A chi ragas lì chi é cag pól dir ‘na bón’na paròla? Al pàroch!».

Perché il quotidiano “Avvenire”, cosi coraggiosamente aperto sul problema della pace, sui problemi dei Paesi poveri, su tante questioni trascurate dai media laici, si perde in queste quisquiglie clericaloidi, rischiando di dare un colpo al cerchio di una società ingiusta e un colpo alla botte della surrettizia omologazione di una Chiesa perbenista?