Indulgenza plenaria senza pentimenti

Siamo in clima di tormentone mediatico continuo, superficialmente ed inutilmente allarmistico, volto ad autoalimentare un’informazione fine a se stessa: dalla pandemia alla guerra, dalla crisi energetica agli andamenti climatici, dai bollettini di guerra alle bollette del gas. Il tutto proposto con una superficialità tale da creare solo scompiglio per la gente, audience e introiti pubblicitari per l’industria mediatica.

Ora è partito il tormentone post-elettorale che presenta una strana ed avvolgente atmosfera pseudo-politica: un improvviso ed allusivo perbenismo che mi inquieta. Il qualunquismo si è spostato dalla gente ai media. Tutti i gatti sono bigi, destra e sinistra sono uguali, vincitori e vinti si equivalgono, il fascismo è roba vecchia, l’antifascismo è un rimasuglio da scartare, la Costituzione è solo bella da guardare, la coerenza è un optional, scordiamoci il passato, etc. etc.

Se durante la campagna elettorale ho sofferto l’imbarazzo della (non) scelta, il dopo elezioni mi lascia sbigottito per il clima di indulgenza plenaria adottata nei confronti di una destra estremamente equivoca, pericolosa e camaleontica. Forse sono troppo legato agli schemi del passato. Non ho vissuto il fascismo in prima persona, ma ne vedo parecchie analogie con l’attuale situazione politica. Spero di sbagliarmi.

Non condivido il ragionamento di mettere da parte i principi divisivi per dedicarsi concretamente agli enormi problemi economici e bellici del momento presente: quali soluzioni potranno mai uscire da un simile modo di operare?

I revival meloniani appaiono sconcertanti, ma non hanno alcuna importanza di fronte alla valanga di problemi che ci sommerge. Quale credibilità potrà avere un premier che fino a ieri sparava contro l’euro e l’Europa, che riceve i complimenti e gli auguri dalla feccia europea, che si ispira al trumpismo? Ma adesso ha cambiato registro e quindi niente paura. Draghi e Mattarella stanno facendo da garanti: il fatto dovrebbe preoccupare, perché, se è così, stiamo per collocare a Palazzo Chigi un personaggio la cui firma ha bisogno di avalli per essere accettata. Un inno al trasformismo considerato come un’inevitabile caratteristica della politica e spacciato come anticamera di novità auspicabili.

Il punto nodale delle analisi in voga sembra essere questo: non incartiamoci in discussioni sui valori e sui principi, guardiamo alla realtà dei fatti, il resto è fuffa. Non sono per nulla d’accordo. Non vorrei fare del sociologismo datato, né dell’utopismo fragile, ma rifiuto categoricamente la dittatura del pragmatismo forte.

Se non si parte dalla condivisione di idee fondamentali dove si va a parare? Se non abbiamo un’idea di Europa condivisa, incasseremo forse molti aiuti, ma resteremo ai margini della Ue: è la stessa tattica di Orban. Toh, chi si rivede! Se non chiariamo cosa pensa l’Italia della guerra, potremo dichiarare tutte le fedeltà ai patti internazionali, ma rimarremo ininfluenti e marginali rispetto agli assetti internazionali.  Se non abbiamo una linea sul riconoscimento dei diritti civili, potremo a parole difendere tutti, ma nei fatti lasceremo perdere chi non gode di tali diritti. Se non partiamo da idee condivise di uguaglianza ed equità ci troveremo di fronte al liberismo spinto di un governo che vagheggia la flat tax ed un’opposizione che si accontenta di fare del puro assistenzialismo. E via di questo passo.

Parola d’ordine: aspettiamo i fatti concreti. Potrebbe trattarsi di un’attesa omertosa e colpevole. Non sarebbe meglio discutere prima? È vero che le elezioni hanno dato il loro responso, ma la politica non finisce lì, è solo l’inizio… Lasciamo lavorare Giorgia Meloni in santa pace? Meglio stare in campana e non buttarla in “pandana”.