L’apostrofo nero della campagna elettorale

“Il voto del 25 settembre è la conclusione di una crisi ventennale in cui il Parlamento ha dimostrato di non saper formare da sé dei governi adeguati, anni in cui il presidente della Repubblica è intervenuto continuamente per risolvere problemi che il Parlamento non era in grado di risolvere”, ha attaccato l’ex sindaco di Venezia in un’intervista al Giorno, aggiungendo poi: “Viviamo in una crisi ormai evidente di sistema politico. Le forze politiche però non ne discutono e viene affrontata in modo dilettantistico, occasionale e marginale”. Una critica a tutto campo di fronte alla quale il filosofo ha parlato poi di “palese impotenza del Parlamento ad affrontare le questioni vitali”. La conseguenza – ha osservato dunque Cacciari – “è un presidenzialismo surrettizio”.

Da uomo di sinistra, il professore ha poi bacchettato anche la compagine progressista guidata da Enrico Letta, rea di non meditare seriamente sulla discontinuità chiesta dagli elettori. “È incredibile che gli eredi di tanta cultura cattolica e di sinistra non riflettano sull’ipotesi di avere domani un governo di destra con una leader come la Meloni. Siamo di fronte a una discontinuità netta. Quindi mi accontenterei che le questioni vengano affrontate con franchezza, parlando di grandi processi storici, oggettivi”, ha affermato Cacciari. In tempi non sospetti, l’ex sindaco aveva già bocciato senza appello la strategia del segretario dem. “La sua è una catastrofe politica, la sua leadership ne esce sconquassata”, aveva tuonato, stroncando l’ex premier e le sue ambizioni.

La soluzione avanzata dal professore per risollevare la politica è altisonante. “Vanno affrontate due questioni, la crisi di sistema e il salto d’epoca. E per ragionare in senso critico occorre collocare la situazione italiana nel panorama internazionale: la guerra, la crisi energetica per esempio”, ha spiegato Cacciari. Buoni auspici che però cozzano con il clima litigioso di una campagna elettorale ormai entrata nella sua fase più rissosa. (Il giornale)

Non ho letto l’intervista integrale (leggo fin troppo…), ma comunque traggo dal succitato estratto alcuni spunti di riflessione indotti da un personaggio, che stimo ed ammiro per i contenuti sostanziosi che propone e per i modi “spicci” con cui li espone.

La crisi politico-istituzionale di sistema è causa-effetto di parecchi guai che ci stanno attanagliando. L’emergenza elettorale non fa che farli esplodere in tutta la loro virulenza. È vero che viviamo in un “presidenzialismo surrettizio” e meno male che ci sono stati due personaggi che finora lo hanno interpretato in modo corretto e leale: mi riferisco alle iniziative politiche di Sergio Mattarella e all’attività governativa di Mario Draghi.

È curioso come i partiti da una parte mal sopportino questa benefica e salutare “invadenza” (si pensi alla fretta nel disfarsi del governo Draghi e alla diffidenza più o meno dichiarata verso la presidenza di Mattarella) e dall’altra (il centro-destra) auspichino uno sbocco presidenzialista per la riforma delle nostre istituzioni democratiche. Per la sinistra vale la curiosità inversa: alla persino eccessiva simpatia verso il draghismo (cos’altro è se non presidenzialismo strisciante?) fa riscontro una radicale avversità a rivedere l’assetto costituzionale delle istituzioni in senso presidenziale. Queste contraddizioni la dicono lunga sul modo dilettantistico, occasionale e marginale con cui i partiti affrontano la crisi di sistema.

Il salto d’epoca si rivela nei suoi evidenti e drammatici aspetti: la guerra che divampa in Ucraina ma cova sotto la cenere un po’ in tutto il mondo e richiede di ripensare gli equilibri internazionali; la crisi energetica che incombe sulle economie rendendole ancor più vulnerabili; i processi migratori che vengono subiti maldestramente e assolutamente non gestiti; le emergenze ambientali che stanno diventando la regola di una natura violata e sfruttata in modo delinquenziale.  La politica sembra fare un passo di lato per rifugiarsi nelle schermaglie partitiche ignorando totalmente le scommesse in gioco.

In mezzo i cittadini fuorviati da un finto e illusorio benessere, intontiti dalle risse elettorali, impossibilitati a scegliere il benché minimo indirizzo politico, sempre più paralizzati da una sfiducia nella politica, che rischia di intaccare le istituzioni e la democrazia.

O la politica riesce a mettere in connessione questi tre elementi, vale a dire la riforma del sistema, la risposta ai drammi epocali e la partecipazione popolare oppure si consolida una sorta di corto circuito, che può provocare continui devastanti incendi.

Se il bacio viene definito romanticamente l’apostrofo rosa fra le parole “t’amo”, la campagna elettorale rischia di essere l’apostrofo nero fra le parole “t’odio” (o “t’ignoro”: che è ancor peggio).