Il caos calmo dentro e dopo le urne

Se è vero che la calma è la virtù dei forti, se, come sembra, gli italiani stanno trovando a destra la forza d’urto per esorcizzare i problemi, qualcosa sta cominciando a scricchiolare: la destra italiana direttamente o indirettamente sotto battuta, da Draghi a Biden a Ursula von der Leyen, sta perdendo la calma e quindi sta dimostrando di non essere forte.

L’altra sera mi sono imbattuto in Alessandro Sallusti che, rinunciando al suo peraltro ammirevole aplomb dialettico, ha sbiellato, probabilmente infastidito dal fantasma di Mussolini evocato da un libro di Antonio Scurati, certamente in difficoltà davanti alla prova democratica del sangue cui viene fin troppo poco sottoposta la destra italiana, per la quale è diventato ridicolmente irrilevante l’apporto del confuso moderatume filo-berlusconiano.

Gli argomenti divisivi si stanno moltiplicando, dal Pnrr al deficit di bilancio, e mettono in chiara difficoltà le prospettive governative di una destra, che sbanda prima ancora di mettere in moto la macchina. Se aggiungiamo le imbarazzate e imbarazzanti collocazioni europei ed internazionali arriviamo ad una autentica e vomitevole maionese impazzita. Le pierinate salviniane irritano non poco la già problematica verve governativa di Giorgia Meloni e le pur morbide bacchettate draghiane non fanno certo piacere, così come i dubbi di lealtà repubblicana restano nel pedigree di Salvini nonostante le frettolose smentite americane: il sasso in piccionaia è comunque arrivato anche se chi lo ha tirato tende a nascondere la mano.

Non so se gli italiani riusciranno a trasferire il loro voto dalla pancia alla testa o si intestardiranno in una sorta di orgoglio più reazionario che democratico. Fatto sta che, per chi vuol vedere, l’agitazione in casa della destra è tanta e tale da scombussolare l’elettorato. A volte basta poco per mettere in crisi la macchina: di granelli di sabbia ce ne sono a volontà.

Non faccio il tifo per l’invadenza Usa negli affari interni degli alleati, né per l’avvolgente e intransigente Alleanza Atlantica, né per il pressapochismo europeo che mette giustamente in castigo l’Ungheria dopo averla però accettata in classe senza alcun seppur piccolo esame d’ammissione e si prepara ad accogliere a braccia aperte l’Ucraina senza valutarne la credibilità del sistema democratico e della classe politica. È la guerra, stupido! Sì, lo so benissimo, è la guerra che continuo a non accettare come assurda coesistenza.

Probabilmente alla destra italiana non fanno tanto paura le punture di spillo spupazzanti di un Draghi in (quasi) libera uscita, le stilettate belligeranti americane, le prove d’assieme di un’Europa a scartamento ridotto: sanno benissimo che queste faccende agli italiani non interessano un cavolo. Un po’ hanno ragione, perché i pulpiti stranieri da cui arrivano le prediche fanno “sbudellare” dal ridere; un po’-tanto hanno torto, perché l’Italia non può isolarsi in un nazionalismo riveduto e scorretto e dopo un Draghi protagonista assoluto, allineato e coperto, non si può mettere in campo una soubrette relativa, disallineata e scoperta.

Forse il timore di fondo, che sta prendendo piede e toglie i sonni alla destra riguarda la possibilità che gli italiani in prossimità delle urne, ma ancor più dopo le elezioni, possano risvegliarsi non dando per scontati gli equilibri politici in via di formazione e rispolverando tre discorsi: la coesistenza bellicosa a cui ci stiamo rassegnando, la difesa della democrazia a cui stiamo rinunciando, l’ecologia in cui ci stiamo rifugiando a parole. Questi tre riferimenti  causerebbero benefici rigurgiti culturali, che potrebbero rimettere in discussione l’immanente avanzata della destra per scegliere di votare, magari al buio, a sinistra o di astenersi accontentandosi della luce di un cerino.

Persino l’approccio elettorale squisitamente partitico potrebbe creare qualche grattacapo a chi ha già messo in ghiaccio la vittoria. Vada per il voto di pancia (Meloni a destra, Conte a sinistra, tanto per intenderci), ma già il voto per tradizione/conformismo/meno peggio (Partito democratico a sinistra, Berlusconi a destra, Calenda al centro) potrebbe creare qualche problema a chi è dato vincente, per non parlare dell’astensionismo che rappresenta una mina vagante tale da rovinare la festa a chi ha voluto le elezioni anticipate a tutti i costi.

In questi casi i discorsi sarebbero aperti al di là dei sondaggi: prima del voto, rimettendo in discussione un andazzo elettorale tutt’altro che irreversibile, ma anche dopo il voto, riaprendo scenari istituzionali piuttosto (im)prevedibili. Così come si andò da Mattarella a supplicare un supplemento presidenziale, si potrebbe andare da Draghi a perorare un suo ritorno (meglio dire una sua permanenza) almeno per evitare le burlesconate, le melonate e le salvinate interne e soprattutto internazionali.

Tutto sommato mi auguro che gli italiani non abbiano ancora deciso e siano condizionati dal cuore che batte su certi valori irrinunciabili e dal cervello che valuta la politica come arte del possibile. Una gara dura, da non drammatizzare, ma da non sottovalutare. La calma è di destra, l’inquietudine è di sinistra. In mezzo c’è sempre Draghi in agguato: più esclude di essere in gioco e più avvalora l’idea di essere incollato al tavolo non foss’altro che per il disbrigo degli affari correnti, che però stanno diventando concorrenti, compromettenti e coinvolgenti.