Alla luce delle tenebre elettorali

Un carissimo, giovane e colto amico mi ha inviato una breve ma profonda riflessione “esistenziale” sulla situazione politica emergente dal responso delle urne, peraltro piuttosto scontato.

“Nei giorni scorsi, d’un tratto, sono precipitato in una cupezza di “spirito politico” per l’attesa della vittoria della destra e questo sentimento – l’essermi incupito così per le sorti politiche del Paese – mi suona oggi in qualche modo nuovo, mai sentito prima, e questo sarà anche positivo dopotutto. Ma, a quest’ora, non resta che la conferma di questo sentimento, alla luce delle tenebre elettorali. La tivù accesa, ora silenziata, sto ripiegando – qualcuno forse direbbe con nobiltà di spirito – sulla lettura della Politica come professione di Max Weber. Proprio stanotte!”.

Mia sorella, morta purtroppo nove anni fa, avrebbe una reazione molto più prosaica e con ogni probabilità sarebbe anche oggi spietatamente realista nel giudicare gli italiani “ancora fascisti”: la cosa rimane vergognosamente imbarazzante, anche perché, tutto sommato, aveva ragione. La risposta plausibile all’inquietante responso elettorale la posso quindi azzardare nella impietosa analisi che lei faceva delle magagne del popolo italiano: siamo rimasti fascisti con tutto quel che segue.

Mio padre, resistenza (nel cuore e  nel cervello), costituzione (alla mano), repubblica (nell’urna), operava,  ancor più culturalmente che politicamente, una scelta di campo imprescindibile e indiscutibile: sull’antifascismo non si può scherzare anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna rischia grosso, finendo col promuovere il discorso di chi vuole voltare pagina, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe lui) “ in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.

Gli italiani hanno dimostrato, premiando in modo netto la destra a guida Giorgia Meloni, di fregarsene altamente della storia passata, privilegiando ed isolando quella presente: la sinistra non li ha per niente aiutati, sventolando propagandisticamente allarmi democratici senza accompagnarli con una concreta proposta di larga “alleanza elettorale di liberazione nazionale”. I numeri, pur non facilmente sommabili delle forze non di destra, dimostrano che all’indistinta e contraddittoria coalizione di destra si poteva rispondere con una tattica coalizione di centro-sinistra: era forse l’unico modo per costringere gli italiani a ragionare e scegliere con cuore e cervello e non con la pancia.

Disgraziatamente l’esperienza del governo Draghi, che, nelle intenzioni del presidente Mattarella, doveva consentire alla politica di rigenerarsi in continuità democratica, ha finito col creare i presupposti per una inquietante discontinuità democratica. Evidentemente il consenso popolare draghiano era più rispecchiato dal pensiero unico mediatico che da una convinta adesione alla cosiddetta agenda Draghi (lo scarso ed insignificante risultato di “Calenda-Renzi” ne è un’ulteriore attestazione). Lo dimostra il fatto che alla vergognosa liquidazione del governo Draghi gli elettori hanno risposto premiando Fratelli d’Italia, che tale governo non ha mai sostenuto, il movimento cinque stelle, che ne ha innescato il meccanismo di caduta, il centro-destra nel suo complesso, che ha opportunisticamente e strumentalmente voluto le elezioni politiche anticipate anche a costo di creare drammatiche conseguenze per il Paese.

Due parole sui principali sconfitti uscenti dalle elezioni. Tra i vincitori (compreso un Berlusconi redivivo, che si accontenta di uno striminzito 8%, spacciato come un trionfo tutto da godere) esce paradossalmente con le ossa rotte la Lega di Salvini protagonista di una debacle registrata tra le mura della propria casa politica (la coalizione di destra) e nel proprio territorio di riferimento (il nord, la Lombardia in particolare). Tra i perdenti risulta particolarmente punito il Partito democratico, che ha registrato il peggior risultato nella storia della sinistra, mentre si salva alla grande il M5S, che gli ha scippato, furbescamente ma efficacemente, le battaglie etiche (guerra e pace) e sociali (poveri, disoccupati e lavoratori in difficoltà). Salvini ed Enrico Letta avranno modo di leccarsi le ferite: il primo all’ombra consolante di quel po’ di potere che, con una certa prevedibile magnanimità, gli concederanno i partner, il secondo nel bagno rigenerante dell’opposizione politica e sociale, peraltro tutta da costruire.

Dall’estero arrivano reazioni piuttosto imbarazzate e imbarazzanti, che sembrano più preoccupate della continuità belligerante in Ucraina e della difesa burocratica delle alleanze (Nato e Ue) che non della genuinità democratica del nostro Paese. Le botti danno il vino che hanno e ho l’impressione che Usa e Ue, come si suol dire, la berranno da botte.