Non gasiamo la crisi di governo

La sorprendente coincidenza tra le dimissioni di Mario Draghi e l’aumento delle forniture del gas proveniente dalla Russia ha indotto a pensar male e magari a fare peccato, ma ad indovinarci.  Il colosso energetico russo Gazprom ha comunicato per la giornata del 21 luglio 2022 la consegna di volumi di gas pari a circa 36 milioni di metri cubi, a fronte di consegne giornaliere pari a circa 21 milioni di metri cubi effettuate nei giorni precedenti. Lo ha reso noto Eni, nel giorno in cui dopo i 10 giorni di stop per la manutenzione ordinaria, è ripresa l’attività del gasdotto North Stream 1. Un incremento, dunque, del 75% nelle forniture. È evidente che sia un messaggio neanche tropo velato da parte di Vladimir Putin: un governo meno “atlantista” significherà un inverno meno freddo per gli italiani. 

Di veleni, come ho già avuto modo di scrivere, nella crisi di governo ce ne sono a sufficienza, forse non c’è bisogno di aggiungerne, anche se l’occasione è indubbiamente ghiotta per fare maligni collegamenti. Non facciamoci minimamente toccare dalle eventuali trappole di Vladimir Putin: la nostra politica estera deve essere discussa e decisa indipendentemente dai ricatti della Russia.

Il presidente Draghi nel suo intervento al Senato ha detto testualmente: “L’Italia deve continuare ad essere protagonista in politica estera. La nostra posizione è chiara e forte: nel cuore dell’Unione Europea, nel legame transatlantico. La nostra posizione è chiara e forte nel cuore dell’Ue, del G7, della NATO. Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, come questo Parlamento ha impegnato il Governo a fare con una risoluzione parlamentare. Come mi ha ripetuto ieri al telefono il Presidente Zelensky, armare l’Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi. Allo stesso tempo, occorre continuare a impegnarci per cercare soluzioni negoziali, a partire dalla crisi del grano.
E dobbiamo aumentare gli sforzi per combattere le interferenze da parte della Russia e delle altre autocrazie nella nostra politica, nella nostra società”.

Sono d’accordo con Draghi sulla collocazione dell’Italia, anche se la fedeltà ai patti non significa sposare acriticamente gli indirizzi della Nato, ma semmai contribuire criticamente a stabilirli e rivederli quando necessario; sull’autonomia italiana rispetto alle interferenze del mondo anti-democratico, anche se occorrerebbe uscire dalla prigione della realpolitik, che spesso ci induce in tentazione; dissento invece dal postulato secondo il quale per aiutare l’Ucraina a difendersi  il solo modo sia quello di rifornirla di armi.

Non è il caso quindi di lasciarsi trascinare in un “retroscenismo” pernicioso, né per dimostrare che Draghi era nel giusto sempre e comunque né per confermare la indissolubilità del patto atlantico e/o la giustezza statunitense a prescindere. Non mi pare il caso nemmeno di insinuare dubbi sulla lealtà di alcune forze politiche, quelle peraltro responsabili, volenti o nolenti, della caduta del governo Draghi, in merito alla politica estera italiana per il solo fatto che abbiano espresso dubbi e perplessità sull’invio di armi all’Ucraina o sulla eccessiva rigidità degli atteggiamenti governativi. Il fatto che M5S e Lega siano stati chiacchierati sui loro passati rapporti opachi con la Russia non deve portare a polemiche su questioni di grande rilievo nel bailamme propagandistico della imminente campagna elettorale. I madornali errori commessi da questi partiti nei confronti del governo non devono sollecitare fantasiose criminalizzazioni a loro carico, che finirebbero col vittimizzarli ed assolverli quindi dalle loro vere colpe di carattere politico, di cui risponderanno agli elettori ed alla storia.

Cerchiamo di essere seri come ha sollecitato Sergio Mattarella in un sofferto e malinconico intervento a commento dello scioglimento delle Camere: “Mi auguro che – pur nell’intensa, e a volte acuta, dialettica della campagna elettorale – vi sia, da parte di tutti, un contributo costruttivo, nell’interesse superiore dell’Italia”.