In Sala d’aspetto

Per dare l’idea della stima che nutro per Giuseppe Sala, sindaco di Milano, confesserò di aver pensato a lui come presidente della Repubblica nel dopo Mattarella: ammiro in lui la capacità politica di scegliere senza essere necessariamente divisivo, di tenere un profilo istituzionale senza allontanarsi dai problemi della gente, di adottare un linguaggio alto senza estraniarsi dal dialogo con la base della cittadinanza, di occuparsi in grande del tessuto socio-economico senza dimenticare gli ultimi della pista che faticano a farsi vedere ed ascoltare.

All’indomani della scissione dimaiana ho colto alcune indiscrezioni giornalistiche, che davano Luigi Di Maio in qualche collegamento con il sindaco di Milano. Ho pensato si trattasse di una delle solite vuote ipotesi retrosceniste. Infatti come riservo grande ammirazione per Sala, confesso di non avere alcuna considerazione per Di Maio, che giudico un mero ed ignorante opportunista: dopo avere promosso e condiviso tutte le scelte pentastellate, improvvisamente si è accorto della pochezza del movimento di cui faceva parte integrante per abiurare alla propria fede grillina e rifugiarsi sotto le ali protettive di Mario Draghi, facendo peraltro al premier un pessimo servizio creandogli ulteriori difficoltà di rapporti col M5S.

Consiglio a tutti di ripercorrere le tappe della storia pentastellata dimaiana, ne esce un penoso spaccato di carrierismo all’ombra pseudo-movimentista dei cinquestelle: Di Maio ha portato il suo partito dai gilet gialli al doppiopetto blu, dalla piazza ai banchi del governo, non per agevolarne una maturazione politica, ma per lucrare i vantaggi delle proprie giravolte. Per lui si può dire: credevo che il mio doppiopetto fosse funzionale finché non ho visto quello di Giuseppe Conte e allora ho perso la testa.

In questi primi giorni di una sconclusionata campagna elettorale è tornato in primo piano un presunto filo politico tra Di Maio e Sala, proiettato addirittura su una eventuale lista civica, che coinvolgerebbe alcuni sindaci, in appoggio al Partito democratico e collocabile comunque nell’area di centro-sinistra.

Continuo a non capire cosa ci possa essere in comune fra questi due personaggi che vedo agli antipodi etico-culturali prima che politici. Non vorrei che fosse frutto acerbo di una spasmodica ricerca di convergenze elettorali a prescindere tatticamente dalle reali comunanze di valori, idee e visioni.

Se il centro-sinistra pensa di muoversi in questo modo fa un ottimo regalo al centro-destra, mettendosi sul suo stesso piano e continuando a privilegiare le alleanze rispetto ai contenuti passati, presenti e futuri. La segreteria politica di Enrico Letta ha mostrato tutti i suoi limiti proprio in questo senso: da una parte appiattita in modo infantile, scriteriato e masochistico sull’azione del governo Draghi, dall’altra parte illusa di poter lavorare su un campo allargato ai cinquestelle, forse più per rubare voti che per fare strada assieme. È bastato il “temporalone” di stagione per smontare una visione politica tutta tattica e niente strategia. Enrico Letta è nudo! È rimasto col cerino acceso fra le dita! Non cerchi pertanto di coprirsi alla bell’e meglio con sbrigativi indumenti elettoralistici. A Di Maio può anche andare bene, a Sala direi proprio di no. Ha detto di voler dare una mano al centro-sinistra. Attento a non farsi trascinare nel fosso.

In questo disegno, pseudo-civico, pseudo-politico, pseudo-tutto, si inserirebbe, udite-udite, anche il ripescaggio dell’ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti (tra grillini riveduti e (s)corretti ci si intende). Auspico che Giuseppe Sala sappia stare alla larga da queste manovrette da quattro soldi. Lasci fare a Enrico Letta, lui sì che di alleanze se ne intende…

Qualcuno infatti sta ipotizzando addirittura una candidatura di Giuseppe Sala a premier in subordine a Mario Draghi, qualora questi non accettasse di tornare a Palazzo Chigi sostenuto da un centro-sinistra vincente (attenti a non rovinare la reputazione a Draghi per coprire con la sua fascinosa immagine tecnico-professionale le proprie inconsistenze politiche). Come ho detto all’inizio riservo grande considerazione per il sindaco di Milano e andrei quindi adagio ad inserirlo nel tritacarne elettorale in nome di un vago intento unitivo dell’armata Brancaleone. E poi chi ha detto che per vincere le elezioni occorra presentare a tutti i costi un candidato premier? Le elezioni politiche si stanno trasformando surrettiziamente e alla faccia della Costituzione in uno stiracchiato toto-premier. Tutti affermano stucchevolmente che prima dei candidati dovrebbero venire i programmi, salvo coprire sistematicamente il vuoto pneumatico di contenuti con candidature più o meno estemporanee e pavoneggianti (vedi Carlo Calenda), più o meno impresentabili e nostalgiche (vedi Giorgia Meloni), magari anche molto autorevoli e stimolanti (vedi appunto Giuseppe Sala).

In conclusione sarei felicissimo che Giuseppe Sala potesse guidare il centro-sinistra, ma non per la forza della disperazione delle sue componenti, ma per convinta adesione ad un disegno politico e programmatico, che purtroppo al momento non vedo. Per rendere ancor meglio l’idea userò la similitudine di una mia partecipazione ad una partita a carte, di ramino o conchino come dir si voglia. Avevo in mano un jolly, ma lo usai talmente male e frettolosamente da riuscire a perdere e a far perdere tutti ad eccezione di un giocatore al quale finii per tirare involontariamente la volata.