Le finte guerre fanno da schermo a quella vera

Come ha scritto Giordano Stabile del quotidiano “la Stampa”, i diplomatici russi vengono espulsi da decine di Paesi, mentre le sanzioni sono arrivate al limite: si chiede quindi cosa rimanga da fare per sconfiggere Putin.

Le espulsioni di diplomatici russi, decise dai Paesi europei in segno di protesta per la guerra in Ucraina, sono “mosse poco lungimiranti”. Lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aggiungendo che tali decisioni “complicheranno ulteriormente la comunicazione fra noi, che è necessaria per trovare una soluzione”. Qualcuno si scandalizzerà, ma mi permetto di essere d’accordo con Peskov. Bisogna infatti, una volta per tutte, prendere una strada: quella diplomatica o quella della prosecuzione della guerra. Qualcuno sostiene che non siano in contrasto, vale a dire che si possa proseguire nella resistenza armata ucraina, appoggiata dall’Occidente, per fiaccare l’impegno militare russo e quindi trattare con un Putin indebolito e costretto a più miti consigli: più schema di guerra di questo… A parte il prezzo umano che si pagherebbe, chi garantisce che alla trattativa non giungano più stanchi l’Ucraina e i suoi sostenitori rispetto all’inossidabile dittatore, che non esita a dare la carne ucraina in pasto al suo esercito sempre più affamato, sbandato, mercenario e raccogliticcio?

Non sono del parere che la diplomazia debba arrivare solo in un secondo momento rispetto alla consumazione della guerra sul campo: non ha alcun senso. Finirebbe tutto in una guerra cristallizzata e continuativa su cui si scaricherebbero tutte le tensioni passate, presenti e future: una sorta di ring, su cui far svolgere un infinito match con i potenti a bordo ring a insultarsi reciprocamente e le genti ad assistere, più o meno urlanti, alla sfida, in nome di fantomatici principi e valori.

È scoppiata cioè la finta guerra delle espulsioni, una valvola di sfogo diplomatico in attesa di tempi peggiori. Già non si capisce cosa facciano i funzionari delle varie ambasciate, ma farli tornare a casa è l’ennesimo passo falso dopo gli inconcludenti attacchi verbali, messi in atto soprattutto dagli Usa. Gli Europei preferiscono telefonare: meno deviante, ma ugualmente stucchevole al limite del ridicolo.

Dall’altra parte c’è la guerra delle sanzioni che sembra giunta al limite. Non sono in grado di stabilire se finora abbia fatto solo il solletico a Putin, anche perché l’Europa non è in grado di portarla fino in fondo, alle prese con il diverso impatto che le sanzioni di tipo energetico avrebbero sui singoli Stati membri, ed è incapace di spartire equamente la torta dei sacrifici, che, manco a farlo apposta, toccherebbero soprattutto all’Italia (si ripete il solito refrain, quello delle immigrazioni).

In buona sostanza si stanno combattendo a latere della guerra vera e propria due finte guerre, quella economica e quella diplomatica. Saranno scaramucce utili alle parti per saggiare i propri muscoli e quelli dell’avversario? Attenzione, perché non vorrei che succedesse come durante certe partite di calcio, dove gli allenatori fanno scaldare i rincalzi e, quando giunge il momento di impiegarli sul campo, la partita è già compromessa.

C’è però una grande differenza: la guerra russo/ucraina si gioca militarmente sul campo, mentre la vera partita è quella che si gioca a scacchi fra gli attuali imperi che intendono dominare il mondo, vale a dire Stati Uniti, Russia e Cina. Ne prendo in considerazione solo tre dal momento che l’Europa per mancanza di coesione, per difformità strategiche e per debolezza intrinseca non ha la capacità di sedersi al tavolo se non per interposta persona, facendo cioè, come dice Massimo Cacciari in modo colorito e tranchant, marchette agli Usa nel postribolo della Nato (quest’ultimo particolare lo aggiungo io). I tre “grandi” al momento non hanno alcun interesse a chiudere la partita, ma intendono tenerla aperta per meglio posizionarsi in vista di un ridisegno globale degli equilibri internazionali.

Partiamo dalla Russia, che ha aperto i giochi e si trova assai imbarazzata per diversi motivi: una forza militare poco tecnologica per sbarazzarsi del nemico a tavolino, poco consistente per affrontarlo sul campo, poco calcolata rispetto alla capacità reattiva, diretta e indiretta, dell’aggredito. Probabilmente Putin, come ormai ammettono quasi tutti gli esperti di geopolitica, è stato male informato dai suoi capi militari, che gli hanno prospettato una passeggiata in Ucraina, mentre invece non stanno mancando gli intoppi a livello di resistenza popolare e militare. Forse non era conosciuto l’arsenale ucraino, forse non si pensava che l’Occidente fosse così reattivo da mandare all’Ucraina armi in abbondanza, forse tatticamente si sono sprecate bombe per catturare i moscerini del Donbas e della Crimea, forse l’obiettivo iniziale, quello del ripristino dell’impero zarista, era troppo ambizioso e strada facendo è stato ridimensionato e/o rinviato a data da destinarsi. In conclusione Putin e la sua cricca hanno bisogno di rivedere i piani, di attestarsi meglio sul territorio, di riassettare l’esercito e di sferrare l’attacco definitivo senza troppa fretta. Fanno finta di trattare su tavoli improbabili, ma in realtà vogliono continuare il gioco per rifarsi dalle provvisorie sconfitte rimediate sul campo.

Alla Cina non pare vero di cogliere le debolezze russe, finge di andare in soccorso del nemico/amico (vedi voti all’Onu e acquisti mercantili a protezione dalle sanzioni), ma in realtà punta a ricattarlo sempre più sul piano economico in modo da farne una sorta di dependance da cui succhiare materie prime (petrolio, gas, frumento, etc.), sostenendo l’attuale dittatore in attesa di sostituirlo, direttamente o indirettamente, in uno stretto filo di collegamento geopolitico, trasformando la Russia da autarchia/oligarchia in un regime capital/comunista a propria immagine e somiglianza (ho rubato parzialmente queste idee all’acuto analista geopolitico Dario Fabbri).

Anche gli Usa considerano la Russia un inciampo da rimuovere, un diversivo da togliere di mezzo, per concentrarsi sullo scontro globale con la Cina, il vero antagonista presente e futuro. E allora conviene logorare Putin armando l’Ucraina, rinserrare le fila a livello Nato, porre uno stringente argine alle smanie di potere russe, mantenendogli una robusta spina nel fianco. Prima o poi la Russia se la giocheranno alla roulette con la Cina: una succosa posta in palio.

Dell’Europa ho già detto anche troppo: il nulla strategico, il niente tattico, il solito balletto filoamericano agevolato dalla brexit, il persistente nazionalismo un po’ di tutti gli Stati membri insaporito da una punta di populismo che non fa mai male. Si pensava che la politica (?) di Biden tendesse a recuperare un serio rapporto di partenariato con la Ue, invece la solfa è più o meno ancora quella trumpiana: un menefreghismo antieuropeo, meglio sarebbe dire “aeuropeo”, ora ingentilito da stucchevoli strette di mano.

In conclusione siamo in pausa etica, geopolitica, dialogica e culturale. Non possono che continuare a tintinnare le armi. Una sanzione economica di qua, un ritiro dell’ambasciatore di là, una sparata demagogica ed elettoralistica di qua, una telefonata di là, un crimine di guerra di qua, una condanna di là, un’accusa di neonazismo di qua, un sos di là, mentre gli ucraini muoiono, le loro donne e i loro bambini vengono in aggiunta violentati, chi non muore scappa alla disperata. É la guerra, stupido!