Crescendo bideniano e diminuendo zelenskiano

Gli attacchi a Putin da parte del presidente statunitense Biden si sprecano: macellaio, criminale, dittatore da abbattere etc. etc. Probabilmente siamo arrivati al culmine: Putin autore di un vero e proprio genocidio in Ucraina. Inizialmente sembravano gaffe con tanto di alleggerimento successivo da parte dello staff della Casa Bianca, poi l’insistenza verbale si è fatta travolgente e incontenibile e si è pensato che il tutto rientrasse in una tattica per la verità vecchia come il cucco, quella cioè di attaccare l’avversario per fiaccarlo e costringerlo a più miti consigli. L’accusa di genocidio però è tale da spostare il discorso da un livello meramente tattico ad una rottura irrimediabile e di tipo strategico.

Non entro nel merito di questi giudizi perché ho da sempre ritenuto Vladimir Putin uno degli uomini peggiori della storia: ha sintetizzato in sé il peggior comunismo (essendo di esso un arnese di lusso quale annoso capo del Kgb sovietico) con il peggior liberismo (avendo impostato un vero e proprio sistema capitalistico-mafioso) e con la peggior politica (una autocrazia senza se e senza ma). Mi sono quindi sempre stupito (?) delle aperture di credito occidentali nei suoi confronti, motivate evidentemente dalla più bieca realpolitik.

Quando ci si tira in casa un delinquente – o perché conviene o perché ci sono già parecchi delinquenti e uno in più non crea particolare disturbo – prima o poi non può che finire male. Ora gli Usa, e non solo loro, per vergogna etico-tattica o per convenienza strategica lo vorrebbero mettere sgarbatamente alla porta, ma non è facile: i patti, espressi o taciti che siano, non tengono più, l’ospite puzza assai e allora bisogna cominciare a dire la verità, sperando che il mondo creda a proprie spese in questa virata nei rapporti e cercando di fargli molto male al punto da farlo impazzire totalmente, isolarlo e mandarlo in malora.

Putin nel suo delirio di onnipotenza ha offerto ai nemici-amici l’occasione propizia per regolare i conti una volta per tutte, l’ha fatta talmente grossa da indispettire e scandalizzare (quasi) tutti. Qualcuno però deve pagare il conto di questo cambiamento di rotta, di strategia e di equilibri di potere. Biden tenta di scaricarlo sulle spalle dell’Europa, sia dal punto di vista economico (il prezzo delle sanzioni e dello scombussolamento generale nei rapporti commerciali pesa soprattutto sui Paesi europei alquanto esposti verso la Russia), sia sul piano politico (il disorientamento geo-politico è notevole e tocca in modo particolare un’Europa, disunita al limite della conflittualità).

L’alleato degli Usa in questa opera di pulizia internazionale è Volodymyr Zelenski con la sua Ucraina: lo stanno trattando come vittima sacrificale di un rito volto a recuperare credibilità per il volto sfregiato di una democrazia auto-deturpata e per ridisegnare gli equilibri di potere a livello mondiale. Anche Putin aveva e ha la macabra intenzione di usare l’Ucraina quale pedina per battere i suoi colpi sullo scacchiere europeo se non addirittura mondiale (vedi problematica alleanza con la Cina).

Mi auguro che Zelensky, che mi sembra al momento solo un abile comunicatore e un coraggioso kamikaze, non sia in realtà uno statista dilettante che cade in un gioco più grande di lui. Sta esagerando e mentre munge la vacca statunitense e della Nato, sta schierandosi troppo al fianco degli Usa ed isolandosi dall’Europa, non comprendendo bene i rischi che sta correndo: finire con l’essere un fantoccio degli americani dimenticando cultura, storia, arte e geografia del proprio Paese per diventare la testa di ponte americana in una Europa spiazzata e indebolita.

Il tacito rifiuto della visita a Kiev del presidente tedesco Steinmeier la dice lunga sulle perplessità di Zelensky verso il Pese più forte dell’Europa, probabilmente memore di una ostpolitik, che parte in buona fede da Willy Brandt per proseguire tortuosamente con Angela Merkel per finire col tradimento del (quasi) oligarca ex-cancelliere Schroeder, finito a giocare nella squadra di Putin. Anche la Francia, che storicamente ha sempre avuto un occhio di riguardo alla Russia più per contenere lo strapotere americano che per simpatia verso i regimi, sovietico prima e russo poi, non ha il pedigree in ordine agli occhi di Zelensky, che sta peraltro bussando vigorosamente alle porte dell’Ue, mettendone paradossalmente in discussione i più forti e consolidati abitanti.

Forse il giro di propaganda operato in Europa con i video messaggi ai parlamenti così come i contatti avuti con i vari leader europei non hanno dato gli effetti sperati al di là delle virtuali e paternalistiche pacche sulle spalle e delle promesse da marinaio. Invece che insistere su questa strada, si è sbilanciato decisamente verso gli Usa, disposti a fornire armi sempre più potenti e relativi istruttori, e sta coinvolgendo nella sua causa i Paesi europei di frontiera, quasi a segnare una linea rossa di confine verso la Russia e la sua invadenza, arginabile militarmente dalla Nato sempre più a controllo Usa. Zelensky è ormai inserito a pieno titolo in una logica di guerra che fa gioco a Biden e un po’ meno gioco alla Ue. Anche la mossa della richiesta di uno scambio fra il prigioniero Medvedchuk, oligarca filorusso in odore di presidenza collaborazionista nel caso in cui l’invasione fosse sboccata in un cambio della guardia a Kiev, e un certo numero di prigionieri ucraini deportati in Russia, la dice lunga sul clima irreversibile di guerra in cui si sta sprofondando.

Non so se il presidente ucraino sia veramente e democraticamente rappresentativo della volontà del suo popolo o se stia andando al di là degli interessi e dei desideri della gente fiaccata da una guerra tremenda. Ho l’impressione che si muova con una certa abilità, ma senza un disegno preciso in testa (cosa peraltro assai difficile). Forse si fida troppo degli Usa (e di chi si dovrebbe fidare…), forse si fida troppo poco dei Paesi europei (e chi non dubiterebbe di quest’armata brancaleone chiamata Ue…), forse rischia di finire becco e bastonato, prima bastonato che becco. Non so perché, ma non vedo in lui né la stoffa di un eroe, né quella di un uomo di stato, né quella di un vero e proprio leader.  In mezzo allo squallido panorama dei personaggi investiti di potere ci può stare anche lui, con una piccola (?) differenza: lui è nell’occhio del ciclone assieme al suo popolo che sta soffrendo e morendo. Uno straccio di pace potrebbe interessargli comunque, anche a costo di farsi da parte.