Le trombe del bellicismo e le campane del pacifismo

In mezzo ad uno stentoreo coro bellicista presto volentieri ascolto ad un solista pacifista. Ho grande stima ed ammirazione per un personaggio politico fin troppo schivo al limite del rinunciatario, fin troppo serio al limite del sofferto.

Mi riferisco a Graziano Delrio, ex ministro ed ex capogruppo Pd, che non nasconde la sua angoscia per i tempi che stiamo vivendo. «Dopo due anni di questa lunghissima pandemia che ancora non finisce, adesso la guerra nel cuore dell’Europa. Credo sia proprio questo il momento in cui la politica deve utilizzare parole di speranza, indicare una prospettiva non solo militare ma di pace duratura. Non possiamo lasciare che a parlare siano solo le armi, dobbiamo rassicurare, mostrare un orizzonte, far percepire un impegno concreto della politica e dell’Italia per la pace e la sicurezza».

Ho letto quasi con commozione la sua intervista al Manifesto di cui riporto integralmente alcuni passaggi.

L’Italia con altri paesi Ue ha deciso di inviare armi all’Ucraina. È la strada giusta?

Ho votato a favore con tormento. Sono un pacifista convinto, consapevole che le armi lasciano sempre dietro di loro tragedie, non mi lascio sedurre dall’idea della corsa agli armamenti, della deterrenza come strada per costruire la pace. Ma questo è un avvenimento eccezionale, la prima volta che i confini di un paese europeo vengono aggrediti dopo la seconda guerra mondiale, e non possiamo invocare il diritto alla resa. La legittima difesa degli ucraini va aiutata, le armi possono servire a rallentare l’invasione e ad aprire trattative su una base più dignitosa per l’Ucraina.

Condivide questo paragone storico? Tra il 1943 e il 1945 era in corso una guerra mondiale.

In comune c’è il diritto di resistere a una aggressione così palese, il concetto stesso di resistenza. Lo prevede anche l’Onu. Io avrei scelto un altro tipo di resistenza, ma era nostro dovere dare una mano: questo non significa che la diplomazia debba stare ferma. L’Europa deve parlare di pace, e farlo subito. E la pace si fa col nemico. Come fece Moro nel 1975 con gli accordi di Helsinki tra Russia ed Europa. Era un momento di contrapposizione frontale, eppure ha funzionato. Sono molto preoccupato da una logica bellicista, la scelta della Germania di investire 100 miliardi nella difesa non è una buona notizia.

Lei si è astenuto, con altre due deputate Pd, sull’odg di maggioranza che aumenta le spese militari.

Gli investimenti possono servire se si ragiona su una difesa comune europea, che permette anche di razionalizzare la spesa. Non condivido la logica degli aumenti indiscriminati. Vedo in molti animi quello che Giovanni XXIII definì «una psicosi bellica».

Eppure l’Italia prevede un aumento di 13 miliardi.

Non basta un ordine del giorno, di queste cose bisogna discutere seriamente. Su cosa investiamo? Sulla cyber sicurezza? Certamente. Ma la Francia ha già 300 testate nucleari, non credo proprio che ne servano altre in Europa. La decisione del Parlamento mi pare più figlia di un riflesso automatico che di un ragionamento.

Anche Macron annuncia il riarmo.

Si invocano le armi quando la politica è latitante. Arrendersi alla logica bellica vuol dire negare il principio spesso su cui abbiamo costruito l’Europa. Putin a un certo punto, col suo paese in ginocchio, avrà bisogno di una via d’uscita. Sì, parlare di riduzione delle spese militari in questa fase non è solo utopia. In momenti ancora più difficili si sono firmati trattati per la riduzione delle armi nucleari. Se ci arrendiamo alla logica di Putin siamo noi gli sconfitti. Ora più che mai serve un nuovo trattato per la sicurezza in Europa, Russia compresa. E lo capiranno anche loro. Come diceva Tolstoj, la grandezza della Russia è un fine che si sarebbe potuto perseguire anche senza guerre.

Anche in questa crisi l’Ue è eccessivamente a ruota degli interessi americani?

La colpa è nostra, non possiamo lamentarci del protagonismo degli Usa o della Cina se non siamo in grado di esprimere una politica estera comune. Mi auguro che questa sia l’occasione perché l’Italia, con Francia, Germania e Spagna, avvii una cooperazione rafforzata in tema di difesa.

Come valuta il dibattito italiano di questi giorni? C’è una psicosi bellicista?

Nella nostra società il no alla guerra è un sentimento molto radicato, l’articolo 11 della Costituzione non è stato scritto a caso.

Il governo e il Pd hanno toni troppo bellicisti?

Giusto che l’Europa abbia risposto in modo compatto all’aggressione. E che anche l’Italia sia stata unita. Ma dopo tre settimane questa unità va usata nell’azione diplomatica. Il tempo di parlare di pace è adesso.

Nel Pd si è sentito isolato?

No. Nel Pd ci sono tante sensibilità ma tutti concordiamo sul primato della politica e della diplomazia. E nel rapporto con la Russia noi non abbiamo retropensieri o scheletri nell’armadio.

Finalmente una voce che mi riconcilia con la politica. L’ex ministra Fornero, qualche tempo fa, ebbe a dire che Delrio è l’unico politico serio sulla scena italiana. Sono d’accordo. Anche la esemplare correttezza con cui parla del suo partito ne è la dimostrazione. Quando una persona è troppo brava rischia però di essere emarginata se non addirittura defenestrata. Il segretario del Pd Enrico Letta, appena seduto sulla poltrona, non ha trovato di meglio che tagliare fuori Delrio dalla carica di capo-gruppo parlamentare, sbandierando un’assurda scelta femminista. Nel governo Draghi avrebbe potuto essere inserito come ministro: non c’era che l’imbarazzo della scelta per il dicastero. Un po’ di cuore e di idealità in un governo tutto cifre e razionalità non avrebbe guastato. Non voglio esagerare, ma sarebbe stato anche un ottimo presidente della Repubblica, perfettamente in linea con l’eredità mattarelliana.  Quando mai la politica recupererà il suo vero ruolo di interprete dei valori e delle aspirazioni della gente, soprattutto di quella che soffre? Non ho idea, so che sarà sempre e comunque tardi. Per fortuna che nel frattempo c’è Delrio.