Le ombre cinesi

Ho due strane e brutte impressioni e con queste intendo rispondere agli amici e conoscenti che mi chiedono cosa penso della guerra in Ucraina. Non penso, cerco di fiutare l’aria e di capire gli umori. “I ‘daviz  jen cme j insònni” , consiglia un noto detto parmigiano. Rispettando la saggezza popolare, me ne dovrei stare buono ad aspettare i fatti, mentre invece mi sento costretto ad immaginare cosa stia succedendo.

Sul fronte diplomatico vedo una inquietante melina, che non lascia sperare niente di buono: un balletto di telefonate, di incontri, di tavoli, che servono solo a prendere tempo. Si fa strada l’ipotesi che l’Occidente stia aspettando solo l’evento per scatenare l’offensiva e distruggere Putin nonostante il rischio nucleare dietro l’angolo. Hanno data persa ogni e qualsiasi possibilità di accordo, a causa di compromissioni del passato e di incertezze sul futuro, e attendono l’occasione propizia per intervenire militarmente con o senza il placet della Cina, la quale forse, tutto sommato, approva questo approccio e questa eventualità, che le toglierebbe dalle scatole uno pseudo-alleato sempre più scomodo ed ingombrante.

Putin sembra giocare a fare il topo e la Nato è rassegnata a fare la parte del gatto. L’Europa sconta la sua storica incapacità d’iniziativa e sta a guardare, anzi continua a telefonare. Le telefonate di Macron a Putin non si contano più. Non voglio fare macabra ironia, ma al termine di queste lunghe conversazioni, in cui intravedo un’esercitazione retorica tutta francese, temo che Putin reagisca come l’impiegato dell’Aci alle insistenti e petulanti richieste del famoso Furio di verdoniana memoria: “Mo va a cagär”. E questo nella migliore delle ipotesi, perché potrebbe essere minacciata anche l’apertura degli armadi dell’affarismo russo-europeo con la conseguente sputtanata generale dei salvatori della libertà: “Guärda che s’am stuff a rév i rubinett…”.

In questo gioco attendista la resistenza ucraina viene indirettamente usata da apripista-kamikaze e l’Europa come rassegnato spettatore di seconda o terza fila. La danza è condotta dagli Usa, anche se il ballerino risulta piuttosto traballante, ma dietro di lui c’è chi manovra con astuzia e spregiudicatezza. Manca solo il tacito applauso della Cina che non si farà attendere. Saremmo alla riedizione riveduta e scorretta della strategia del ping-pong di nixoniana origine, con la quale gli americani potrebbero cercare di prendere due piccioni con una fava.

La pubblica opinione, imbambolata da un’overdose di informazione fine a se stessa, giorno dopo giorno si sta convincendo che alla guerra non c’è alternativa e quindi tanto vale asfaltare la Russia costi quel che costi. Sotto sotto la gente è portata a fare il tifo contro Putin, toccata ed emozionata dal protagonismo della resistenza ucraina, l’unica realtà umana in un contesto di sfuggenti fantasmi.

Le manifestazioni di piazza sono un rituale e confuso sfogo per mettere a posto la coscienza individuale e collettiva: non c’è in esse quel pathos, quella voce forte e chiara tali da condizionare anche minimamente i governanti (?).

In ogni caso, nell’auspicabile eventualità di un accordo tardivo e pasticciato così come nella tremenda prospettiva di una guerra (quasi) mondiale, ci salverà la Cina alla quale abbiamo appioppato la colpa della pandemia da covid ed alla quale dovremo quindi chiedere scusa. Solo i cinesi possono sconfiggere la follia putiniana. Evviva l’Occidente democratico!