“La Nato vuole invadere la Russia. L’Ucraina stava compiendo un genocidio contro la minoranza russa della sua popolazione. Al potere a Kiev ci sono i neonazisti. Sono tre delle accuse che Vladimir Putin usa per giustificare la guerra, riprese e rilanciate dai putiniani d’Italia di destra e di sinistra”. Così scrive Enrico Franceschini su “La Repubblica”.
La propaganda fasulla, come sempre succede, parte da discutibili e faziose verità per lavorarci sopra e trasformarle strumentalmente in vere e proprie rivelazioni definitive. Ciò non ci esime dal prendere in considerazione le accuse di Putin, non per giustificare l’invasione dell’Ucraina con tutti gli atti e crimini di guerra conseguenti, non per essere equidistanti, non per sottovalutare l’importanza etica e politica della resistenza del popolo ucraino, ma per “ammettere gli errori dell’Occidente e dare un contributo non irrilevante alla pace che diciamo di volere” (così conclude la sua interessantissima analisi Barbara Spinelli a cui farò ampio riferimento più avanti).
Partiamo dal genocidio contro la minoranza russa. Non credo che il vescovo Ricchiuti, presidente della sezione italiana di Pax Christi, sia un dispensatore di fake news e tanto meno un putiniano d’Italia, ma in un’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire” ha affermato: «Chi si ricorda del massacro di Odessa, il 2 maggio 2014, quando una cinquantina di attivisti filo-russi morirono in un rogo appiccato da neonazisti e nazionalisti ucraini?». Evidentemente qualcuno ricorda e strumentalizza questo ricordo trasformandolo in un vero e proprio genocidio contro la minoranza russa che vive in Ucraina. Il fuoco dell’odio razziale cova anche in Ucraina e, anziché combatterlo pacificamente, cercando il dialogo e l’accordo fra le parti, la Russia soffia su di esso e ne sta facendo un subdolo motivo per appiccare un devastante e generale incendio. Anche l’Occidente però avrebbe potuto fare di più: «Le situazioni andavano affrontate con un percorso di riconciliazione, mettendosi attorno a un tavolo per comprendere le ragioni gli uni degli altri. E bisognava fare un lavoro ai fianchi, diplomatico, con questi due popoli e i rispettivi capi di Stato, per arrivare a un accordo».
L’accusa di neonazismo rivolta ai governanti ucraini è certamente esagerata e pretestuosa e può tranquillamente ritornare al mittente, viste le caratteristiche e i comportamenti del regime putiniano in pace e in guerra. Tuttavia mi sembra opportuno leggere quanto scrive al riguardo Marianna Cenere su “MicroMega”: «Il Presidente Putin ha dichiarato i giorni scorsi di voler “demilitarizzare e denazificare l’Ucraina”, suscitando consapevolmente una reazione emotiva nell’opinione pubblica internazionale sbandierando lo spettro del neonazismo. Effettivamente, formazioni neonaziste di estrema destra in Ucraina esistono. Il riferimento è ai movimenti politici dell’ultradestra che, con alterne fortune, sono presenti in Ucraina sin dai tempi della caduta dell’URSS, e nello specifico al battaglione Azov, gruppo paramilitare fondato da Andrij Biletsky – ex parlamentare ucraino – in funzione antirussa, i cui membri, secondo rapporti dell’Osce e dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU, hanno massacrato, stuprato e assassinato civili nelle regioni del Donbass a partire dalla crisi del 2014 e negli anni successivi, nella più totale impunità e con la compiacenza delle istituzioni e l’ammirazione e il supporto morale delle varie formazioni dell’alt-right nei paesi limitrofi. (…) Quando Putin parla di genocidio e nazificazione nelle regioni del Donbass fa riferimento a violazioni di diritti umani documentate. Tuttavia, il suo assunto che il problema sia la presenza di un gruppo di neonazisti nel governo ucraino – peraltro democraticamente eletto – è risibile, nonché strumentale. Correnti politiche riconducibili all’alt-right americana e internazionale che propongono ricette misogine, razziste, omofobe, antisemite, suprematiste bianche, violente e ultraconservatrici esistono anche in Russia. Esistono in tutta Europa, negli USA, in Canada, in Australia, in Nuova Zelanda, in Sudafrica. E si tratta di movimenti organizzati e tra loro collegati anche a livello mainstream, opportunisticamente riuniti sotto la bandiera del free speech e dell’anti politically correct, come dimostrano l’opera di proselitismo strategico in Europa di Steve Bannon, o il congresso delle famiglie a Verona per citare un evento ospitato dalla destra nostrana, evento al quale hanno partecipato numerosi elementi russi ultraortodossi e fedelissimi del Cremlino». Molto interessante quanto scrive Barbara Spinelli su “Il fatto quotidiano” in ordine all’obbligo di rispetto dei confini internazionali, fondamentale nel secondo dopoguerra: «Putin non è stato il primo a violarlo. L’intervento nato in favore degli albanesi del Kosovo lo violò per primo nel ’99 (chi scrive approvò con poca lungimiranza l’intervento). (…) Eravamo noi a dover neutralizzare l’Ucraina, e ancora potremmo farlo. Noi a dover mettere in guardia contro la presenza di neonazisti nella rivoluzione arancione del 2014 (l’Ucraina è l’unico Paese europeo a includere una formazione neonazista nel proprio esercito regolare). Noi a dover vietare alla Lettonia – Pese membro della Ue – il maltrattamento delle minoranze russe».
La Nato vuole invadere la Russia: è un’altra accusa di Putin a supporto dell’invasione dell’Ucraina nel paradossale tentativo di retrocederla a mera operazione speciale e difensiva. Anche su questo punto è utile tornare a leggere quanto recentemente ha scritto Barbara Spinelli: «L’Occidente aveva i mezzi per capire in tempo che le promesse fatte dopo la riunificazione tedesca – nessun allargamento Nato a Est – erano vitali per Mosca. Nel ’91 Bush sr. era addirittura contrario all’indipendenza ucraina. L’impegno occidentale non fu scritto, ma i documenti desecretati nel 2017 (sito del National Security Archive) confermano che i leader occidentali – da Bush padre a Kohl, da Mitterand alla Thatcher a Manfred Wörner Segretario generale Nato – furono espliciti con Gorbaciov, nel 1990: l’Alleanza non si sarebbe estesa a Est “nemmeno di un pollice” (assicurò il Segretario di Stato Baker). Nel ’93 Clinton promise a Eltsin una “Partnership per la Pace” al posto dell’espansione Nato: altra parola data e non mantenuta. La promessa finì in un cassetto e, senza batter ciglio, Clinton e Obama avviarono gli allargamenti. In pochi anni, tra il 2004 e il 2020, la Nato passò da 16 a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Polonia, Romania e nei Paesi baltici ai confini con la Russia (a quel tempo la Russia era in ginocchio economicamente e militarmente, ma possedeva pur sempre l’atomica). Nel vertice Nato del 2008 a Bucarest, gli Alleati dichiararono che Georgia e Ucraina sarebbero in futuro entrate nella Nato. Non stupiamoci troppo se Putin, mescolando aggressività, risentimento e calcolo dei rischi, parla di “impero della menzogna”. Se ricorda che le amministrazioni Usa non hanno mai accettato missili di Paesi potenzialmente avversi nel proprio vicinato (Cuba)».
Sforziamoci perciò di non rispondere alla propaganda con la propaganda. Vale anche per noi il monito “Fermate la guerra, non credete alla propaganda” esibito in diretta durante il tg russo. È improvvisamente apparsa una persona alle spalle della conduttrice Ekaterina Andreeva, urlando “Fermate la guerra! No alla guerra” e mostrando un cartello con su scritto “Non credete alla propaganda, qui vi mentono”. Clamorosa irruzione in diretta televisiva durante Vremya, il principale telegiornale russo, trasmesso dal 1994 sul Primo Canale (Channel One). La rete fa sapere che “sta conducendo un’ispezione interna sull’incidente”. L’autrice del blitz è Marina Ovsyannikova, una giornalista di Primo Canale con padre ucraino. Prima dell’edizione, ha persino registrato un videomessaggio dove diceva di vergognarsi di lavorare per la propaganda del Cremlino. Non sarebbe scandalosa qualche irruzione sulle televisioni italiane, impegnate a rispondere alle menzogne putiniane dispensando a piene mani il pensiero unico filo-occidentale con la scusa di schierarsi dalla parte del più debole, e finanziate dalla pubblicità, vale a dire da quel mercato che propaganda egoismo e individualismo, tutto per difendere i valori della libertà e democrazia: così non si serve la verità, non si costruisce la pace e non si aiutano i deboli. Bisognerebbe partire dalla verità, di cui ognuno, se in buona fede, detiene un pezzetto e non dalle faziose verità totali che ognuno crede di possedere e di poter sbandierare, compresa quella di santificare in modo salottiero la resistenza ucraina all’insegna del “vi armiamo (?) e voi morite per difendere anche i nostri pseudo-valori”, senza ammettere che gli ucraini resistono a Putin, ma mettono anche in discussione un ordine mondiale ingiusto e precario, che l’Occidente ha contribuito in modo decisivo ad instaurare.
Ricordiamoci che le balle, come si suol dire, stanno in poco posto. Secondo il ministro degli esteri russo Lavrov il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol era una messinscena degli ucraini in quanto tale edificio era la sede di militari neonazisti. E intanto è arrivata la terribile notizia che una delle donne incinte, che era stata fotografata mentre veniva evacuata in barella dall’ospedale bombardato, è morta il giorno stesso del bombardamento all’ospedale insieme al bambino che portava in grembo. Lavrov è un mentitore, ma non accontentiamoci che vengano a galla le balle russe, cerchiamo di liberarci anche delle nostre. Altrimenti i resistenti ucraini rischiano la beffa di rimanere schiacciati in mezzo alle balle della Russia di Putin e alle mezze verità, agli stucchevoli elogi e alle promesse da marinaio dell’Occidente.