Il mito della caverna bellica

In molti si chiederanno il perché dell’evidente fatto che, quando si profila un seppur minimo spiraglio di dialogo fra le parti in guerra, scatti immediatamente, come una molla, l’offensiva verbale che sembra cancellare immediatamente ogni speranza. Biden afferma che Putin è un delinquente, un criminale di guerra, un macellaio, un governante che se ne deve andare, che la Russia usa armi chimiche, che verranno adottate nuove sanzioni contro i membri della Duma; il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, sostiene di avere solide prove di bio-laboratori Usa, che gli Usa guardino in casa propria, che in Europa Putin ha molti amici e parla di uso di armi nucleari anche se «solo se la nostra esistenza è minacciata». Un ping-pong di terribili accuse e contro accuse, di minacce e contro minacce da far accapponare la pelle.

I casi sono due: o si tiene alto il livello dello scontro verbale per cercare nel primo, concreto e grave sgarro subito, il pretesto per lo scontro militare sul campo in un apocalittico redde rationem, oppure si mette in scena la commedia degli insulti per coprire la vera e segreta diplomazia, fatta di accordi inconfessabili beffardamente siglati sulla pelle della gente.

Prendendo in considerazione la prima ipotesi, mi sovviene quanto diceva mio padre: “ I’n stan pu in-t-la pèla da la vôja  ‘d fär la guéra”. Potrebbe essere in atto una sorta di tiro alla fune per aspettare chi per primo cadrà, con entrambi i contendenti sicuri che nessuno avrà il coraggio di arrivare alle estreme conseguenze, che si chiamano armi atomiche, e che quindi la battaglia avrà un vincitore sul campo. L’Occidente si sente più forte da tutti i punti di vista e Putin non ha niente da perdere, avendo gettato il prete (la Russia) nella merda (l’illusione di un impero). Come sostiene la senatrice Granato, anziché favorire il processo diplomatico che potrebbe portare alla pace, alimentano l’escalation verso un sempre più probabile conflitto mondiale, cercando di farlo passare come ineluttabile.

Mi auguro che sia più probabile la seconda ipotesi, quella della diplomazia in bassa frequenza sotto la copertura degli scontri verbali ad alta intensità: una grande finzione per giungere ad una triste realtà. Attenzione però al gioco che può anche sfuggire di mano. Al riguardo mio padre dall’alto della sua gustosa acutezza diceva: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón».

Resta la sconfortante consapevolezza di essere comunque nelle mani di personaggi più o meno irresponsabili, che giocano sui destini dell’umanità. Forse crediamo, sulla base della sbornia di notizie di cui siamo destinatari e vittime, di conoscere e di poter giudicare la realtà. Non è così.

Il filo conduttore dei ricordi mi porta ad andare “oltre” la realtà emergente per creare qualche risposta ai perché dell’esistenza. Una volta, conversando con mio padre, che non era certamente un uomo di grande erudizione, arrivai a chiedergli cosa intendesse per filosofia e mi stupì la risposta per chiarezza e semplicità. Disse: “Il filosofo è colui che vedendo qualcosa si chiede: è così o sono io che la vedo così?”. Molto tempo dopo questo stimolante dialogo, su un libro di Raniero Cantalamessa, ho letto la citazione del famoso “mito della caverna” di Platone. Riporto di seguito la spiegazione del mito.

“Degli uomini sono stati rinchiusi nel fondo di una grotta buia, con le spalle voltate all’ingresso. Sono legati in modo tale che non possono guardare che in avanti, alla parete di fondo. Alle loro spalle, dietro un muretto, c’è della gente che va e viene, recando vari oggetti in mano o sulla testa. Tra l’ingresso della grotta e questa gente con i vari oggetti, c’è un fuoco che proietta le loro ombre sulla parete di fondo, l’unica che i prigionieri possono vedere. Non avendo, da sempre, visto null’altro, le persone incatenate nella grotta, pensano che quelle ombre siano l’unica realtà, che non esista altro. Tanto che se qualcuno riesce a liberarsi e a uscire all’aperto e torna poi indietro, tentando di dire ai prigionieri come stanno veramente le cose, essi lo metteranno a morte pensando che per la troppa luce gli ha dato di volta il cervello.

Questa, dice Platone, è la condizione di noi uomini nel mondo. Il mondo è una caverna. Le cose che crediamo vere e reali, non sono che ombre di realtà che si trovano lassù, in cielo. Bisogna sciogliersi dal corpo che ci incatena alla materia e alle illusioni, “uscire dalla caverna”, per conoscere la vera realtà”.

Non vi è alcun dubbio che il concetto di filosofia, che aveva elaborato mio padre nella sua semplicità, avesse molte assonanze con la teoria di Platone. Bisogna sforzarsi di “uscire dalla caverna” per conoscere la vera realtà. Siamo incatenati dentro la caverna di una guerra pazzesca, anzi, come finalmente si ammette, di decine di guerre in atto nel mondo: ci arrivano le grida e le immagini di chi soffre, ma le ombre dei potenti e dei detentori del pensiero unico ce le attutiscono, anzi ce le coprono proiettando sullo schermo lo scenario di una guerra inevitabile, addirittura giusta. Se qualcuno osa proiettarsi al di fuori rischia di essere considerato un pazzo/pacifista.