Quando ho visto su internet il patriarca ortodosso Kirill lanciare un attacco all’Occidente, prendendo a pretesto la “merenda” del Donbass combinata con i “cavoli” dei gay pride, ma lasciando intendere un subdolo assist a Putin e il solito simoniaco appiattimento al potere russo, mi sono chiesto se non si trattasse di una ironica gag imbastita da Maurizio Crozza e quindi sono passato oltre scuotendo ironicamente e malinconicamente il capo.
Dopo alcune ore vengo riportato alla triste realtà da un articolo di Riccardo Maccioni sul sito del quotidiano cattolico Avvenire, intitolato “Il patriarca ortodosso Kirill: nel Donbass contro il gay pride”, con il breve sommario “Facile prevedere che il nuovo intervento del patriarca di Mosca susciterà divisioni anche all’interno della comunità ortodossa russa. Si tratta di capire quale entità avrà questo dissenso”.
Sono riandato con la mente a quanto affermava mia sorella all’apparire sul video dei prelati ortodossi con i loro sgargianti, sfarzosi e imponenti paramenti liturgici: “Brutta gente…”. Si riferiva alle loro storiche compromissioni con il potere di tutti i tipi e di tutte le epoche. Come era suo solito, non andava per il sottile e applicava una variante del famoso detto andreottiano “a dire male si fa peccato, ma ci si azzecca”.
E pensare che proprio qualche sera fa in una puntata di “otto e mezzo” su La 7 è apparso un importante sacerdote russo ortodosso, padre Giovanni Guaita, coraggiosamente schierato contro la guerra di Putin, il quale ha citato un documento di cinque sacerdoti ortodossi, che in una giornata ha raccolto quasi trecento firme di adesione tra i componenti del clero. Mi si è aperto il cuore, anche se poco dopo mi si è chiuso lo stomaco col patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie.
Torno alle farneticanti e solenni affermazioni di Kirill citando di seguito e ampiamente il suddetto articolo di Avvenire.
“Nelle stesse ore in cui il Papa lanciava l’ennesimo, vibrante, appello alla pace, chiedendo di far tacere le armi, anche Kirill è tornato a far sentire pubblicamente la sua voce. L’occasione è stata la cosiddetta “Domenica del perdono”, che nel calendario giuliano precede l’ingresso nel tempo liturgico della Quaresima. In questo giorno, tradizionalmente, i fedeli riconoscono le proprie colpe davanti agli amici e persino alle persone sconosciute, impegnandosi a propria volta a dimenticare offese e rancori subiti. Una liturgia della purificazione, se così si può dire, che ha dato al patriarca di Mosca e di tutte le Russie l’occasione per ricollegarsi alla crisi in corso, senza peraltro mai parlare di guerra, termine proibito dal governo Putin.
La riflessione si è infatti circoscritta al Donbass, la regione comprendente le repubbliche di Donetsk e Lugansk autoproclamatesi tali nel 2014, la cui protezione è uno dei pretesti addotti dalle autorità moscovite per giustificare l’invasione iniziata la settimana scorsa. Nella sua omelia, infatti, Kirill ha fatto esplicito riferimento agli otto anni intercorsi da allora, durante i quali, nella ricostruzione storico-metafisica del patriarca, la regione mineraria è stata a rischio distruzione, innanzitutto “morale”, per colpa delle sirene occidentali. In questo territorio, ha denunciato il leader ortodosso, «c’è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale». Per capirlo basta un test, di verifica dell’appartenenza all’impero «del consumo eccessivo» «della “libertà” visibile».
La prova «semplice e terribile» al tempo stesso è l’accettazione o il rifiuto di organizzare parate gay: se si dice no, allora si diventa estranei e rifiutati da quel mondo. Per entrare nel club di quei Paesi «è necessario organizzare una parata del gay pride». Chi resiste subisce repressioni. Si vuole cioè «imporre con la forza un peccato condannato dalla legge di Dio, e quindi» costringere le persone alla «negazione di Dio e della sua verità». Detto in altro modo, le parate gay «hanno lo scopo di dimostrare che il peccato fa parte del comportamento umano» e l’ospitarle rappresenta una sorta di «prova di lealtà» fornita dai governi occidentali. Un atteggiamento invece «sostanzialmente rifiutato» dalle autoproclamatesi repubbliche indipendentiste nell’Ucraina orientale, per questo combattute dall’Occidente. Di qui, dunque il sostegno all’offensiva putiniana, mai peraltro citata esplicitamente. «Oggi i nostri fratelli nel Donbass, gli ortodossi, stanno indubbiamente soffrendo, e noi non possiamo che stare con loro, soprattutto nella preghiera», ha concluso Kirill. Allo stesso tempo, «dobbiamo pregare affinché la pace giunga al più presto, che il sangue dei nostri fratelli e sorelle si fermi, che il Signore inclini la sua misericordia verso la terra sofferente del Donbass, che ha portato questo segno triste per otto anni, generato dal peccato e dall’odio umani».
Facile prevedere che il nuovo intervento di Kirill susciterà divisioni anche all’interno della comunità ortodossa russa. Si tratta di capire quale entità avrà questo dissenso e se sarà disponibile a manifestarsi pubblicamente. Nei giorni scorsi in una lettera aperta, 236 tra sacerdoti e diaconi ortodossi, avevano parlato di «calvario» cui «i nostri fratelli e sorelle in Ucraina sono stati immeritatamente sottoposti», invocando riconciliazione e un immediato cessate il fuoco”.
Mi sia consentito aggiungere qualche velenosa e quindi amarissima considerazione personale. Spero di non peccare di presunzione, sostenendo di essere al cospetto di un mix esplosivo di errori da parte delle alte gerarchie dei fratelli separati ortodossi, che in questo caso, e non solo in questo caso, faccio fatica a considerare una Chiesa sorella.
È pretestuoso, sbagliato e, quanto meno poco equilibrato, l’atteggiamento “di sponda”, espresso nei confronti dell’omosessualità, ridotto a mera condanna dell’esibizionismo gay: partire da certe manifestazioni, pur considerabili eccessivamente provocatorie al limite del folklore, per bypassare un problema serio e reale, ritenendo l’orgoglio gay un male invasivo e fuorviante per la società e per la Chiesa, è un gravissimo attentato al Vangelo.
Inaccettabile peraltro è il cercare la trave (non dico la pagliuzza) nell’occhio occidentale, senza minimamente rimuovere quelle dei regimi orientali, che ne hanno combinate e ne stanno combinando di tutti i colori contro i diritti umani in barba ai principi cristiani e alle regole della civile convivenza.
Scandalosa è la mancata esplicita condanna dell’invasione dell’Ucraina così come di qualsiasi guerra, lasciando intravedere la giustificazione dei metodi violenti per motivi di carattere etico e religioso.
A dir poco vomitevole è la prudenza nei rapporti col potere, che tanto fa ricordare l’atteggiamento del Vaticano nei confronti del nazismo e del fascismo, con la differenza che, seppure lentamente e faticosamente, la Chiesa cattolica si sta sgravando dai condizionamenti del potere, mentre gli ortodossi, almeno nelle loro alte sfere, sono ancora lì a reggere la coda ai Putin di turno.
Come già scritto in un precedente commento, a Giovanni Guaita, un autorevole sacerdote ortodosso contro-corrente, al termine del suo intervento televisivo, è stato chiesto quali fossero le sue speranze in merito al futuro dell’Ucraina. Lui ha risposto, dopo avere realisticamente considerate minoritarie le pur presenti posizioni anti-regime (forse si riferiva anche a quelle degli appartenenti al “basso” clero ortodosso), con la speranza “debole” che la situazione economica costringa Putin a più miti consigli a cui ha aggiunto, con ammirevole discrezione e convinzione, la speranza “forte” che Dio non ci abbandoni e ci aiuti ad uscire dal tunnel.
Sforziamoci anche noi di avere questa fiducia in Dio. Non è poco! Anche se i Kirill di oggi e di tutte le epoche fanno il possibile per farla venire meno. Ne risponderanno davanti alla storia, ma soprattutto davanti al Padre Eterno, al quale non potranno raccontare le balle che sparano dai loro pulpiti.