Quando l’Occidente “scapussò” nel Kosovo

Alla fine del secolo scorso la scena internazionale era monopolizzata dalla questione del Kosovo, la regione albanese che voleva a tutti i costi la propria autonomia. Mia madre, che, come per la verità molti altri ben più esperti di lei, non riusciva a districarsi nel ginepraio slavo post-comunista, si chiedeva con un simpatico strafalcione: “Insòmma, co’ el al Kosolo? Tutt i pärlon ad col bagàj lì: Kosolo, Kosolo…”.

Il 26 agosto 2008 sul quotidiano “La Repubblica” apparve un articolo dai toni profetici di Bernard Guetta, giornalista francese esperto di politica internazionale, in cui ci si chiedeva: “Come può l’Occidente rimproverare la Russia per la sua reazione, dopo aver bombardato Belgrado per intere giornate in appoggio alla secessione kosovara? Come si può difendere il diritto all’autodeterminazione nei Balcani, e poi invocare nel Caucaso il principio dell’integrità territoriale, dopo averlo ridotto a carta straccia riconoscendo l’indipendenza del Kosovo?”.

In questi giorni Barbara Spinelli, su “Il fatto quotidiano”, elencando alcuni punti difficilmente oppugnabili per capire meglio la sciagura ucraina, ha scritto: “Il quinto punto concerne l’obbligo di rispetto dei confini internazionali, fondamentale nel secondo dopoguerra. Ma Putin non è stato il primo a violarlo. L’intervento Nato in favore degli albanesi del Kosovo lo violò per primo nel ’99 (chi scrive approvò con poca lungimiranza l’intervento)”.

In una interessante intervista rilasciata da Massimo D’Alema a Fabio Martini de “La Stampa”, il primo e unico presidente del Consiglio proveniente dalla storia del Pci, dimostrando la solita intelligenza di analisi e l’ammirevole schiettezza di giudizio, afferma: “Questa aggressione militare di Putin non è soltanto un crimine, è anche un errore. Ora deve essere esercitata ogni pressione per fermare la guerra e indurre la Russia a ritirare le sue truppe di occupazione. Ma, in prospettiva, se si vuole costruire una soluzione stabile e sostenibile, non si può non tener conto, malgrado Putin, che ci sono anche le ragioni della Russia”.

Peccato che Massimo D’Alema non abbia il coraggio di ammettere l’errore commesso dalla Nato in favore del Kosovo e di cui il governo italiano, da lui presieduto, fu comunque protagonista, al punto che qualcuno (Francesco Cossiga se non vado errato) giustificò la sostituzione alla guida del governo di Romano Prodi con Massimo D’Alema. Il primo, da cattolico convinto, piuttosto recalcitrante a scatenare l’offensiva bellica, il secondo, da pragmatico post-comunista, pronto a sacrificarsi sull’altare Nato anche e soprattutto per dimostrare concretamente la disponibilità, a suo tempo ventilata da Enrico Berlinguer, a collocarsi tranquillamente sotto l’ombrello dell’Alleanza atlantica.

Torno comunque a quanto afferma D’Alema: “Questa aggressione militare della Russia è un crimine perché siamo di fronte ad un’aggressione a vittime civili, ma è anche un errore perché Putin, descritto da alcuni analisti come spietato e lucido calcolatore, secondo me stavolta ha sottovalutato i rischi connessi ad un’operazione che può avere per la Russia dei costi molto alti. E anche noi dobbiamo saperlo: le sanzioni non bastano. Il rischio è quello di un comune declino dell’Europa e della Russia. Siamo legati per ragioni geografiche, di complementarietà economica: loro hanno bisogno della nostra tecnologia e noi delle loro materie prime. Parliamoci chiaro: dal punto di vista geopolitico questa frattura nel cuore dell’Europa accentua il rischio di declino complessivo del continente. Stati Uniti e Cina possono guardare con maggiore distacco, anche perché pagano un prezzo meno alto. Questa è una tragedia europea e sta agli europei trovare una via d’uscita”.

Mia sorella Lucia aveva un debole per le persone intelligenti e fra queste inseriva a pieno titolo Massimo D’Alema. Diceva che, quando una persona è intelligente lo è sempre indipendentemente dal ruolo che è stata chiamata a ricoprire. Riteneva convintamente che quando una persona è intelligente è più che alla metà dell’opera, perché questa sua qualità, cascasse il mondo, non viene mai meno. Forse, mescolando qualità mentali ed etiche, preferiva avere a che fare con un cattivo intelligente piuttosto che con un buono stupido. Peccato che, a suo tempo, Matteo Renzi, accecato dalla sua furia rottamatrice, abbia buttato il bambino dell’intelligenza dalemiana assieme all’acqua sporca della sua incontenibile presunzione. Oggi, con le arie che tirano, un personaggio come D’Alema non sfigurerebbe a livello nazionale, europeo e mondiale.