Alla festa nazionale dell’Unità di Bologna, intervistato da Lucia Annunziata, è intervenuto il governatore della Campania Vincenzo De Luca che non ha risparmiato le sue proverbiali stilettate. Ammiro questo personaggio perché ha un grande pregio: il coraggio di dire quello che pensa e spesso anche quel che penso io.
Ad esempio parlando della carenza di vaccini in Campania, ha riservato una battuta anche al generale Figliuolo: “Non mi piacciono quelli che vanno in tuta mimetica e anfibi a distribuire vaccini, quelli vanno bene in Afghanistan”. Infatti, pur riconoscendo al generale in questione una notevole capacità organizzativa, devo confessare che, quando lo vedo aggirarsi in assetto di guerra, vengo colto da un incontrollabile, e forse anche esagerato e ingrato, attacco anti-militarista.
Al centro della vis polemica di De Luca però c’è il Partito Democratico: in un certo senso è andato a parlare di corda in casa dell’impiccato. Quando gli viene chiesto se ambisca a un ruolo nazionale, De Luca risponde spiegando perché vorrebbe dei cambiamenti nel partito e sottolineando il peso del proprio consenso elettorale. “Bisogna chiarire molte cose rispetto all’attuale Pd, sono fortemente critico – ha detto -. In tre anni si è mosso il 30-35% degli elettori italiani, il Pd non ne ha intercettato uno. Questo perché la capacità di attrazione del Pd oggi è pari a zero, questa è la verità amara. Dal punto di vista del programma il Pd oggi è il partito di che cosa? Quali sono le proposte di fondo del partito? Io non so cosa rispondere. Ma pensiamo di poter parlare a un fronte sociale maggioritario con le cose che abbiamo o non abbiamo detto?”.
Poi non ha risparmiato battute all’indirizzo del gruppo dirigente: “Noi siamo narcotizzati, quando sento parlare tanti dirigenti nazionali io dopo 30 secondi devo cambiare canale. Non ce la faccio più. Ti viene veramente l’angoscia, sono anime morte”. E ha concluso: “Ho qualche motivo di irritazione rispetto al gruppo dirigente, ci sono tante cose da ricostruire abbiamo ereditato il peggio della sinistra storica e della Dc, sono nonostante tutto fiducioso, dobbiamo reggere e rinnovare dall’interno il partito”.
Come non dargli ragione? Non sono iscritto al PD, ma sono un potenziale elettore di questo partito, in fin dei conti e pur con tutti i difetti, l’unico vero partito politico sulla scena italiana. Ecco perché ne sono anche uno spietato critico in linea con le affermazioni di De Luca. Il PD ha in teoria tutti i requisiti di un vero partito: ha ereditato una storia, anzi ne dovrebbe avere ereditato due, quella del comunismo italiana e quella della sinistra cattolica, mentre invece da questi due filoni culturali ha preso tutti i difetti e non i pregi.
Dovrebbe avere il radicamento popolare e territoriale proveniente dalle storiche battaglie fatte nel passato a tutti i livelli, mentre invece a livello periferico pesta l’acqua nel mortaio, non riesce a rappresentare né il vecchio che vale né il nuovo che avanza.
Dovrebbe contare sulle due scuole di formazione di classe dirigente: quella comunista e quella cattolica. Invece la sua dirigenza, fatte le poche e debite eccezioni, è schiacciata sui burocratici ed anacronistici richiami della foresta comunista oppure sull’improvvisato e stolto rampantismo del nulla piegato in una carta assai poco invitante.
Dovrebbe avere un bagaglio culturale e politico tale da consentirgli di elaborare proposte programmatiche adeguate al mondo moderno. Invece è prigioniero della crisi post- welfare della sinistra, riconducibile alla carenza di fondi pubblici per affrontare le problematiche odierne. E allora non c’è il coraggio di azionare la leva fiscale nel senso dell’equità, non c’è la sensibilità di puntare all’uguaglianza, non c’è la capacità di individuare e difendere i diritti degli ultimi della pista. Ci si accontenta di rincorrere qua e là qualche pur sacrosanto diritto civile, dimenticando ciò che avviene nella società a livello economico ed occupazionale.
Così facendo si lascia campo libero ai non-partiti o al solo altro partito, pur indegno di questo nome, esistente nel nostro Paese, che ha radicamento territoriale e dirigenza periferica per poter scalare il potere, quella Lega demagogica e populista che finisce col sottrarre consensi e voti anche al PD: la Lega infatti è capace di interpretare il peggio del comunismo trinariciuto di opposizione pregiudiziale a tutto; è capace di cavalcare le tigri interclassiste, un tempo riservate alla galassia democratico-cristiana; è capace di illudere la gente rubacchiando certi ideali sociali, trasformandoli in egoismi individuali.
In buona sostanza, per dirla con Massimo D’Alema, il partito democratico sta dimagrendo e perdendo le costole al punto da essere irriconoscibile per i vecchi e inguardabile per i giovani. Chissà che qualcuno non se ne stia accorgendo e possa reagire di conseguenza. Enrico Letta? Temo proprio di no. E chi altro? Vedo solo i Graziano Del Rio, che però non dovrebbero fare gli schizzinosi e sottoporsi ad un po’ di terapia deluchiana per uscire allo scoperto.