La presa in giro della cittadinanza

Il reddito di cittadinanza è diventato realtà ufficiale dopo il Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2019 che l’ha approvato con un decreto (a cui è seguita conversione in legge al Parlamento), previsto dalla Legge di Bilancio 2019.

È stato il primo governo Conte, vale a dire il governo giallo-verde, quello dell’ignobile connubio fra Lega e M5S, ad approvare il decreto legge che contiene le norme sul reddito di cittadinanza e “quota 100”, le due riforme economiche a lungo promesse dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega. «Questo governo le promesse le mantiene», ha detto a suo tempo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la conferenza stampa di presentazione (a rivederla oggi fa sbudellare dal ridere).

L’approvazione del decreto era stata rimandata più volte, le ultime difficoltà nella stesura delle norme erano state risolte nel corso di un incontro tra i due capi della maggioranza, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. «Sono felice. È un’altra promessa mantenuta, anche in meglio», aveva detto Salvini al termine dell’incontro, mentre Luigi Di Maio aveva commentato: «Oggi è una giornata importante e a vincere sono, come sempre, i cittadini. Un risultato che ripaga anni di battaglie portate avanti dal M5S».

È clamorosamente istruttivo rivedere con quale enfasi leghisti e grillini salutarono quel provvedimento, che oggi è diventato orfano di madre con un padre a mezzo servizio. Così come è doveroso ricordare che, dopo il ribaltone governativo, il Pd ingoiò a malincuore la pillola e quel provvedimento rimase in vigore quale simbolo identitario di un M5S che stava perdendo la faccia e la dignità.

Ora quella normativa, sbandierata come una conquista di civiltà (sic!), è, un giorno sì e l’altro pure, sul banco degli imputati: non piace più a nessuno. Ma andiamo con (dis)ordine.

Matteo Salvini, alla faccia della coerenza, è spudoratamente contrario e continua a prendere posizioni nette: “Il reddito di cittadinanza va cancellato assolutamente. Poteva avere senso tre anni fa, ma si è dimostrato un fallimento assoluto. La proposta che faremo in piazza e in Parlamento è semplice: con i soldi che si risparmiano sul reddito cittadinanza si rinviano le cartelle esattoriali e si finanzia quota cento. Conto che sul taglio delle tasse, sulle cartelle esattoriali tutto il centrodestra sia unito”. Perché avesse senso tre anni fa e non oggi, non riesco a capirlo. Forse perché tre anni fa Salvini era al governo e oggi no.

Il segretario del Pd, Enrico Letta afferma: “Credo che Draghi sul reddito di cittadinanza abbia detto cose importanti. Ha aperto una discussione che consente di portare miglioramenti e di prendere il buono che c’è stato, perché del buono ce n’è stato e di superare i limiti ad oggi riscontrati. Questo è il metodo migliore. Quindi nessuna cancellazione di questo strumento ma noi, come il premier, crediamo in un suo miglioramento”. Posizione degna della peggior Democrazia Cristiana.

Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, vorrebbe debellare il provvedimento perché “disincentiva alla fatica”, per dirla con Salvini, e perché “bisogna sudare, ragazzi”, copyright di un Matteo Renzi che cerca disperatamente tutte le occasioni per tornare in pista ed essere, in qualche modo, determinante.

Il reddito di cittadinanza può essere considerato la linea Maginot dietro la quale si apprestano a resistere Giuseppe Conte e il M5S. Il leader cinque stelle ne parla in una intervista al Corriere, facendosi forte delle parole del presidente del Consiglio, Mario Draghi. “Condivido in pieno il concetto alla base della misura”, diceva il premier prima della pausa estiva (posizione degna del peggiore dei forlaniani o degli andreottiani come dir si voglia).

Ai detrattori del provvedimento Conte risponde con un netto “Non passeranno”, per poi spiegare: “Resto a quanto ha dichiarato Draghi, che condivide la necessità di questo sistema di protezione. L’iniziativa del centrodestra, spalleggiata da Italia viva, non potrà avere successo, perché il reddito di cittadinanza è un fatto di necessità oltre che di civiltà”. E se Salvini fa mea culpa dichiarando che non lo voterebbe una seconda volta, Conte rivendica: “Lo rifarei non una, ma cento volte, l’Italia sul reddito di cittadinanza non può più tornare indietro”. I grillocontanti sono per un miglioramento, non per la cancellazione. Una posizione collaborativa espressa da Conte (non so fino a qual punto in linea con il sentire del movimento da lui faticosamente presieduto): “C’è la necessità di apportare modifiche nella messa in pratica dello strumento e, per questa ragione, sono pronto a favorire la costituzione di un tavolo che monitori la sua efficacia, rafforzi i controlli per evitare abusi e favorisca il dispiegamento di tutti i vantaggi per gli imprenditori collegati alle assunzioni”. I pentastellati vorrebbero quindi migliorare questa riforma, senza contare che, se una questione non la si vuole risolvere, si vara una commissione (oggi vanno di moda i tavoli di discussione). I grillini insomma, come diceva Enzo Biagi, sono “incinti”, ma solo un pochettino.

Il dibattito è decisamente surreale: chi era d’accordo non lo è più, chi era favorevole lo è un po’ meno, chi dopo averlo ingoiato cerca di ruminarlo, chi, come Draghi, finge di essere d’accordo sul principio, ma non sulle regole applicative. Se è vero che solo gli stupidi non cambiano mai opinione, è altrettanto vero che bisogna saperlo fare con un minimo di dignità e che, quando fare marcia indietro diventa la regola, si finisce per andare a sbattere.

La questione, che dovrebbe essere di carattere sociale, è diventata meramente partitica: sulla pelle dei disoccupati cronici si sta giocando abbastanza sporco. Dei disoccupati e dei nullatenenti non interessa niente a nessuno, eventualmente interessano solo e confusamente i loro voti (vedi M5S), interessano come pezzo da togliere dal museo della sinistra (vedi PD), interessano a Italia viva per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, interessano poco o niente alla Lega e al centro-destra che guardano alla maggioranza benestante. E allora andrà comunque a finire male.