La Lega di lotta, di governo e…di vaccino

Sta prendendo corpo la pur prevedibile peggior cosa che, politicamente parlando, si potesse verificare: la radicalizzazione governativa e parlamentare sull’anticamera dell’obbligo vaccinale, vale a dire la diaspora sul green pass con tanto di moti di piazza e con tanto di scaramucce tra i partiti.

C’erano duemila cose da fare sul piano strutturale e gestionale prima di arrivare a introdurre l’obbligo della vaccinazione anti-covid (sì perché il green pass altro non è che il suo surrogato giuridico e la sua premessa programmatica). Si è preferito scegliere la scorciatoia a meta tutt’altro che garantita piuttosto che percorrere la faticosa ma costruttiva strada della quotidianità all’insegna del potenziamento delle strutture sanitarie e di trasporto, del monitoraggio della pandemia, del sostegno reale all’economia, della guidata e controllata normalizzazione socio-economica, etc. etc.

Così facendo si sta andando dritti-dritti verso il precipizio dello scontro politico sull’obbligo vaccinale. Fin dall’inizio dell’esperienza del governo Draghi, la Lega ha in testa la riserva mentale di tenersi le mani libere per spegnere l’interruttore: le si sta offrendo su un piatto d’argento l’occasione che fa la Lega ladra, quella  «di lotta e di governo», che segue una sua logica: infatti, in commissione Affari sociali della Camera ha votato contro gli emendamenti al decreto Covid, che contiene tra le varie norme anche l’introduzione del Green Pass. Un decreto varato meno di un mese fa, il 6 agosto, dal Consiglio dei ministri con un via libera anche dei titolari dei dicasteri del Carroccio. Una presa di distanza molto significativa, che prelude ad una sempre più difficile navigazione draghiana se non addirittura ad una brusca interruzione del governo di unità (quasi) nazionale.

È perfettamente inutile stracciarsi le vesti perché la Lega cerca di cavalcare il malumore sociale derivante dal green pass e i dubbi costituzionali sulla sua introduzione sempre più allargata, surrettiziamente e sostanzialmente preludente l’obbligo del vaccino: sta diventando il pass per la crisi di governo. Era prevedibile e allora bisognava togliere preventivamente la castagna vaccinale dal fuoco della polemica politica e non giocare tutto il futuro del Paese sull’obbligatorietà del vaccino (sarebbe più giusto chiamare le cose col proprio nome e precisare che si tratta dell’obbligo di aderire a una sperimentazione di massa di un vaccino), facendone una questione di vita o di morte individuale e sociale.

Sento tanta nostalgia per la capacità politica della democrazia cristiana: non radicalizzare mai i problemi, ma affrontarli nel rispetto dei valori, ma anche col metodo della mediazione e del compromesso ai più alti livelli. Forse anche Draghi ha bisogno di un corso accelerato al riguardo. Persino Mattarella ha forzato il discorso della vaccinazione preso dalla comprensibile ansia di combattere la pandemia.

Quante cose importanti si sarebbero potute e dovute fare in questi quasi due anni senza bisogno di incartarsi in una questione di principio da cui si rischia di uscire tutti con le ossa rotte. Non è vero che l’unica via di uscita dalla pandemia sia l’introduzione della vaccinazione obbligatoria: è perfettamente inutile girarci intorno, perché ormai il dunque è questo. È il solito modo di affrontare male i problemi, partendo dalla fine e soprattutto radicalizzando le presunte soluzioni globali.

Fin dallo scoppio della pandemia la politica ha rinunciato al proprio ruolo affidandosi mani e piedi ad una balbettante e contraddittoria scienza e si continua così: l’enfatizzazione vaccinale proviene dagli scienziati, i quali, non sapendo quali pesci pigliare, si aggrappano al vaccino senza fornirne plausibili certezze di efficacia e di innocuità.

Ebbene, stiamo andando verso un clima referendario: vaccino sì, vaccino no.  Scusi lei è favorevole o contrario? A cosa? Non lo so, ma poco importa. Ormai è vietato ragionare, è fondamentale schierarsi. Mi viene in mente come reagì ad una simile domanda il mio indimenticabile professore di italiano. Erano i tempi del referendum sul divorzio e rispose all’incolpevole intervistatore: «Tu sei un cretino!». Per poi aggiungere davanti al microfono dello sbigottito sondaggista: «Non è questo il modo di affrontare i problemi…». Ben detto non c’è che dire. Vista la deriva della politica ridotta a mera tifoseria, prima o dopo mi aspetto di incontrare qualcuno che in via Cavour mi rompa le scatole chiedendomi: «Scusi lei è un no-vax?». Non potrei che rispondere: «Tu sei un cretino!». Nella coda il veleno dell’allargamento di questo “apprezzamento” ai politici, che ci stanno sgovernando a colpi di vaccino più o meno obbligatorio.