Sali e Tabacci

Bruno Tabacci, sottosegretario a palazzo Chigi e braccio destro di Mario Draghi, perde la delega allo Spazio. All’origine del provvedimento, peraltro innescato da una dignitosa e “spintanea” rinuncia da parte dell’interessato, il possibile conflitto di interesse dopo l’assunzione del figlio in «Leonardo», azienda che si occupa anche di spazio. La delega allo Spazio potrà ora andare a un ministro senza portafoglio, secondo quanto prevede una norma del decreto legge sul Green Pass.

Simone Tabacci, 49 anni, è stato assunto nella partecipata di Stato Leonardo, colosso nel settore della difesa e dell’aerospazio, all’interno della divisione Strategic equity, che si occupa delle partecipazioni e delle joint venture dell’azienda.

Naturalmente la cosa ha innescato polemiche e discussioni. Mi ha ricordato un fatto avvenuto nel 2015, la vicenda del ministro Maurizio Lupi e di un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea. Un regalo, assai più galeotto rispetto all’assunzione di Simone Tabacci, fatto indirettamente all’allora ministro delle Infrastrutture, che secondo un giudice di Firenze rientrava nell’inchiesta sulle tangenti per gli appalti legati alle grandi opere. Lupi fu costretto a dimettersi dal governo di quel periodo.

Da una parte mi sembrano delle rigorose esagerazioni: è “umano” che il figlio di un sottosegretario venga assunto in un’azienda più o meno pubblica ed è altrettanto “comprensibile” che il figlio di un ministro riceva un regalo da persone del “giro”. Non mi scandalizzo, ci sono in giro cose peggiori, per anni e anni abbiamo avuto un presidente del Consiglio in clamoroso, persistente e gravissimo conflitto di interessi, abbondantemente votato dagli elettori, i quali pensavano che un soggetto politicamente capace di perseguire i propri interessi potesse, in fin dei conti, essere capace di curare anche quelli della collettività: una illusione tipicamente alla base del consenso verso i dittatori, che ci fece navigare sull’orlo o tra le onde ( a seconda dei pareri) di un vero e proprio regime. Non mi dilungo oltre.

Tuttavia il conflitto di interessi è una gran brutta bestia da cui bisogna tenersi alla larga: un giorno parlando con un carissimo collega ne facevamo una casistica virtuale per concludere che in pochissimi potevano veramente considerarsi indenni da questo peccato. Anzi arrivavamo a ipotizzarlo in capo a tutti coloro che, a diversi livelli, operano in campo pubblico e privato. Tutti colpevoli, nessun colpevole? Non così, ma forse un po’ di comprensione non guasterebbe.

Così come non guasterebbe un po’ più di prudenza da parte dei politici investiti di importanti cariche pubbliche. Mi risulta che Enrico Berlinguer fosse nettamente contrario all’ingresso in Rai come giornalista di sua figlia Bianca. Aveva ragione per ben due motivi. Come amaramente pensava lui stesso, avrebbero detto che si trattava di una raccomandata di ferro, quindi…E poi forse anche lui sapeva che sua figlia non era una cima e che forse era meglio facesse un po’ di gavetta. Non so se Bianca entrò in Rai prima o dopo la morte del padre, fatto sta che ci entrò, c’è tuttora, ha navigato a latere dei D’Alema di turno, usufruendo di un clima piuttosto generalizzato di tallonamento politico, come del resto quasi tutti i giornalisti Rai: il sistema è questo. Non è bello, ma è così. Ricordiamo la schietta ammissione di Bruno Vespa: disse che il suo editore era il Parlamento, di cui la Democrazia cristiana rappresentava il partito di maggioranza. Per non indagare tra i nani e le ballerine di craxiana memoria.

Nei Paesi anglosassoni sono tremendamente attenti ai delicati aspetti della vita privata dei politici: per un nulla sono costretti a dimettersi su due piedi fior di ministri. Un vero e proprio bigotto accanimento. Però alla fine non hanno tutti i torti. Chi governa dovrebbe avere testa e mani libere, senza subire condizionamenti provenienti da legami parentali, sentimentali, sessuali, professionali, etc. etc.  È una questione etica. Di solito, però, prima di scagliare la pietra bisognerebbe essere senza peccato e non guardare solo la pagliuzza di Lupi e Tabacci, ma fare attenzione anche alle travi palesi ed occulte sistematicamente e clamorosamente presenti nel nostro sistema.

Come ho già recentemente scritto (lo preciso per non cadere inesorabilmente nella presunta patologia arteriosclerotica), mio padre dava una interpretazione colorita e semplice delle situazioni aggrovigliate al limite della legalità. Diceva infatti con malcelato sarcasmo, facendo riferimento al palazzo del potere più fisicamente a lui vicino: «Bizoggna butär tùtt in tazér parchè a s’ris’cia ‘d mandär in galera dal comèss fin al sìndich, tutti invisciè…». Se volete, una sorta di versione da osteria della impostazione affaristico-massonica della nostra società.