Avevo deciso di sorvolare sul merito della riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani: per carità politica di un Occidente inconcludente ed assolutamente incapace di uscire da una visione del mondo meramente utilitaristica ed economicistica. Non ho resistito e ho dovuto coscienziosamente fare alcune riflessioni, limitandomi ad alcune pennellate.
La prima pennellata tocca gli Usa. È trascorso poco più di un mese da una conferenza stampa di Joe Biden in cui, dopo l’annuncio di voler ritirare le truppe dal paese asiatico dell’Afghanistan, aveva più volte rassicurato i giornalisti affermando che l’esercito avrebbe resistito alla possibile avanzata dei talebani, segnalando tuttavia che l’unica via verso la pace sarebbe stata la convivenza con gli stessi. Un fallimento strategico e tattico di tutto l’Occidente, penosamente preoccupato di salvare la faccia e la vita delle persone impegnate nelle ambasciate. Un “si salvi chi può” che esprime tutta la pochezza della politica internazionale del mordi (contro il terrorismo) e fuggi (dalla difesa dei diritti).
La seconda pennellata la dava Tiziano Terzani: “È evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi “amici”, qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L’occasione per uscirne è ora. Perché non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d’essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi “contraccolpi” che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l’Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche – tutti lo sanno – sono fra i petrolieri”.
Nel famoso dialogo a distanza con Oriana Fallaci, Terzani affermava: “…A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli “orribili” talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan”.
La terza pennellata riguarda l’aspetto più inquietante della situazione afghana: il discorso dell’universo femminile nel mirino dei talebani. Così una ragazza afghana in lacrime ha denunciato in un video, diventato virale, l’attuale situazione nel Paese: “Noi non contiamo perché siamo nati in Afghanistan, moriremo lentamente nella storia. Non è divertente?”. La clip è stata diffusa dalla giornalista e blogger iraniana Masih Alinejad. Il ritorno dei talebani in Afghanistan apre troppi interrogativi sulle donne che durante questi anni avevano conquistato a fatica alcuni importanti diritti.
Michele Serra parecchio tempo fa ha tracciato un tremendo parallelo tra la jihad islamica e quella di casa nostra. In un provocatorio e ficcante editoriale Serra ha scritto: «Bisognerebbe cercare di spiegare ai femminicidi di casa nostra che la loro guerra privata è terribilmente simile a quella pubblica che sta incendiando il mondo: la guerra del jihadismo contro la libertà delle donne, la guerra mondiale per il controllo del corpo femminile e la sua restituzione alla potestà maschile e patriarcale. Non è per nulla una forzatura ideologica. È una presa d’atto. In contesti molto diversi e con impatto differente, là in forme politico-militari organizzate, e con fortissimo alibi religioso, qui come una puntiforme guerriglia quasi del tutto isolata dal punto di vista sociale e culturale, eppure in grado di fare centinaia di vittime, il movente è identico: la sottomissione della femmina, la punizione per la sua ribellione, che in Occidente è ormai secolare e in Asia e Africa molto più recente, la negazione violenta della sua autonomia morale, psicologica, infine fisica. Sarebbe una giusta e dura maniera di cominciare il discorso, con questi maschi assassini, dire loro che i talebani linciatori di Malala, i lapidatori di adultere, i carcerieri di ogni ordine e grado che negano alle donne di esistere se non in funzione dei loro uomini, i teorici della inferiorità giuridica delle donne, sono loro parenti stretti. Sono la loro famiglia. Sono i loro fratelli. Uguale è il terrore per la libertà di scelta (della scelta di riproduzione in primo luogo) delle donne. Uguale l’incapacità di accettare un rapporto da pari a pari con le persone di sesso femminile, riconoscendo loro lo stesso margine di autodeterminazione che ogni maschio dà per scontato quando si guarda allo specchio. Uguale la violenza assassina con la quale si sceglie (sì,si sceglie: basta con la panzana consolatoria del “raptus di follia”) di uccidere una femmina considerata “propria”, meritevole di morte perché a quella proprietà si sottrae».
Amarissima conclusione: verso le donne siamo tutti talebani; a noi interessano gli affari e i talebani li possiamo, a seconda dei momenti, vezzeggiare, combattere, tollerare, ignorare o addirittura scopiazzare. Sono sicuro che l’Occidente troverà un modus vivendi col regime talebano, complici gli interessi geopolitici della Russia e le mire economiche espansionistiche della Cina, nonostante la latitanza europea e la contraddittorietà statunitense fatta sistema. Il compromessone sarà più o meno questo: cari talebani, lasciateci fare i nostri sporchi interessi economici, che possono essere anche i vostri; per il resto fate come volete, i diritti ve li potete tranquillamente mettere sotto i piedi, viva la sharia e lunga vita all’islam estremista. E la variabile impazzita del terrorismo? Ce ne occuperemo un’altra volta! Caso mai, faremo una nuova guerra, inutile se non addirittura controproducente, ma salvifica per la faccia occidentale.
Il modus vivendi taglierà fuori il rispetto dei diritti o lo relegherà a mera dichiarazione di principio. Mi riferisco alle donne violentate e ghettizzate, a chi si suicida aggrappato ai carrelli degli aerei della salvezza, a chi non intende rassegnarsi ai talebani. Tutto ciò sarà considerato ingombro rimuovibile, “fuffa realpoliticante”.