Recovery earnestness

Siccome, nonostante tutto, continuo testardamente a credere nella politica, mi corre l’obbligo almeno di provare a prendere sul serio i motivi che stanno sconquassando il governo Conte, sollevati soprattutto da Matteo Renzi. Dissento totalmente dalla tattica masochistica di mettere in crisi un governo in piena pandemia e senza alcun respiro strategico: chi fa parte del governo Conte e ne ha addirittura favorita la nascita, ha l’obbligo di lavorare su un eventuale sfiducia costruttiva, vale a dire di picconare il governo solo in presenza di una credibile e valida alternativa politico-parlamentare.

Voglio tuttavia provare a riflettere nel merito delle critiche renziane disapprovando comunque il metodo ricattatorio con cui vengono poste. Mi sembra – vado cauto perché è difficilissimo capire cosa realmente bolla nella pentola di Renzi, forse non lo sa nemmeno lui, se si esclude la sua egocentrica visione della politica da cui è fuorviato – che il discorso fondamentale giri intorno al Recovery fund, vale a dire alla elaborazione del progetto per ottenere una barca di miliardi a fondo perduto dalla Ue ed alla sua attuazione concreta.

Non si capisce se il progetto esista o se sia ancora in fase di preliminare elaborazione e questo da una parte sollecita le critiche su eventuali gravi ritardi che però dovrebbero essere colmati entro i termini fissati dalla Ue, mentre dall’altra parte si intenderebbe fare un progetto molto partecipato, dettagliato e concreto non facendosi prendere dalla smania di presentare in fretta il compito in classe col rischio di sbagliarlo in tutto o in parte.

Se non ricordo male, studiando organizzazione aziendale, ho imparato che la strategia è fatta di tre componenti: gli obiettivi da raggiungere, i mezzi da impiegare e i modi e tempi con cui agire (vale a dire la tattica). Per ora saremmo alla discussione sugli obiettivi, per poi passare alla quantificazione dei fondi necessari, per arrivare alla gestione di tutte le operazioni previste.

Come spesso accade siamo partiti dalla fine è cioè la discussione si è appuntata ed è arenata sulla cosiddetta cabina di regia che dovrebbe sovrintendere alla realizzazione del piano.Il presidente del Consiglio ritiene necessario una equipe di politici e tecnici a latere della pubblica amministrazione: una gestione straordinaria per un progetto straordinario. La proposta, per la verità ancora piuttosto grezza, si è incagliata in una critica basata su una questione di principio: non si può dribblare la pubblica amministrazione, bisogna comunque fare i conti con essa, non si deve fare confusione sulle competenze, laddove cioè ne esiste già più che a sufficienza. I meno maliziosi si limitano a criticare la pigrizia di un governo che non vuole mettere le mani nei gangli della burocrazia per paure di uscirne stritolato, i più malevoli pensano che la cabina di regia sia un escamotage di Giuseppe Conte per tenere in mano tutta la vicenda.

Se concedo la buona fede a Matteo Renzi, la devo concedere anche al presidente del Consiglio per pensare che abbia solo l’intenzione di sveltire al massimo la manovra realizzatrice e di assoggettarla a capacità amministrative non perfettamente presenti nella compagine ministeriale e nella burocrazia centrale e periferica. Ecco perché spunta anche l’ipotesi di un rimpasto nel governo alla ricerca di competenze ed esperienze tali da garantire la sua adeguatezza. Qualcuno arriva ad ipotizzare un vero e proprio governo di tecnici capaci di interloquire con la Ue e di gestire una massa considerevole di soldi: è in gioco l’avvenire del Paese.

In effetti, scorrendo la lista dei ministri, mi pare che non ci sia, pur con qualche notevole eccezione, la capacità di governare ed amministrare una tale imponente fase di pubblici interventi. Anche la burocrazia, pur essendo più pigra che incompetente, mi pare non sia all’altezza di un simile improbo compito. Conte non ha quindi, a mio modesto giudizio, tutti i torti, anche se, seguendo la sua linea, si rischia effettivamente di depotenziare le istituzioni, affidandosi ad un potere nuovo e per certi versi inquietante.

Il problema o addirittura i problemi esistono. Bisogna trovare la quadra evitando la rissa ideologica, lo scontro di potere e il tatticismo politico. Anche perché tutto ciò si aggiunge alle difficoltà del momento a livello della pandemia, disturbando i già difficili rapporti in merito ad essa. Non voglio esagerare, ma occorrerebbe la capacità di cercare e trovare un compromesso di altissimo livello su cui appoggiare l’elaborazione e la gestione del progetto Recovery. Mettersi a litigare di fronte ad una torta interessantissima per la paura che chi fa le parti possa barare o addirittura che non abbia gli strumenti per affettarla e portarla in tavola, mi sembra infantile e scriteriato. Il dopo corona virus lancia alla politica la sfida della concretezza e della serietà: non la possiamo evitare, pena una disastrosa perdita di un treno che non passerà mai più. Il Recovery fund richiede cioè pregiudizialmente un recupero di serietà (se non erro in inglese si dice earnestness) .