C’è assembramento e assembramento: ci sono le interminabili file di chi chiede un pasto e ci sono le code per lo shopping natalizio. Non voglio fare demagogia, ma mentre alle prime, vale a dire quelle delle persone in chiara difficoltà economica, bisognerebbe dare serie ed organiche risposte in termini di ristoro pubblico, non lasciando il problema al volontariato, sulle seconde farei cadere la mannaia dei controlli senza pietà, ricorrendo, se necessario, al lanciafiamme.
Mi si dirà che rischio di aggiungere contraddizione a contraddizione. Sì, perché abbiamo costruito una società basata sulle contraddizioni. Il vomitevole shopping natalizio infatti serve a garantire lavoro e reddito in modo da evitare il ricorso alla beneficienza pubblica e privata. Anche questo è vero, devo ammetterlo. Ma siamo purtroppo agli estremi mali che richiedono estremi rimedi. Gli estremi mali sono le migliaia di morti a cui stiamo facendo l’abitudine, gli estremi rimedi sarebbero darsi una regolata nella sarabanda di rapporti tre le persone, evitando almeno quelli superflui e non mi si dica che il bailamme del regalino o regalone è necessario.
Tra chi muore di Covid e chi rischia di chiudere il negozio, mi schiero, in modo manicheo, dalla parte dei morituri: i negozi si possono riaprire, le bare no (se non ricorrendo alla Risurrezione dei morti, in cui peraltro credo fermamente). Bisogna operare delle dolorose scelte prioritarie, scegliere, in questo caso, il male minore. Ci sarà tempo e modo di fare altre scelte. Se lasciamo morire la gente pur di non sacrificare le nostre consumistiche abitudini, a parte il rimorso etico che morderà le nostre coscienze, ci troveremo a vivere in una società sempre più ristretta e povera. Si proverà a rilanciare i consumi, ma non ci saranno più i consumatori.
Non ho grande simpatia ed ammirazione per Michele Guerra, assessore alla cultura del Comune di Parma, ma devo ammettere che, nella recente logorroica (è il suo incontenibile vizio) intervista rilasciata alla Gazzetta di Parma, ha imbroccato una sacrosanta provocazione: «Ci sono delle incongruenze: sabato mattina ho fatto un’intervista per Rai 3 davanti al Battistero chiuso, mentre nello stesso orario c’era il mercato in Ghiaia. È possibile?».
La nostra società ed i suoi governanti continuano a sbagliare la scala delle priorità. Prima i mercatini o prima la cultura? I mercatini non si toccano, i musei, le mostre, i teatri si possono chiudere tranquillamente. E pensare che sarebbe molto più facile evitare gli assembramenti e gestire i rapporti tra le persone in un museo pieno di opere d’arte piuttosto che in un piazzale pieno di bancarelle.
Mi si dirà che rischio di aggiungere contraddizione a contraddizione. Sì, perché abbiamo costruito una società basata sulle contraddizioni. Nei mercatini si spaccia cibo materiale, nei musei si offre cibo spirituale: è più necessario il primo. Se lasciamo la gente nell’ignoranza pur di non sacrificare le nostre consumistiche abitudini, a parte il rimorso etico che morderà le nostre coscienze, ci troveremo a vivere in una società sempre più asfittica e disumana. Si proverà a riaprire i teatri, ma la gente preferirà i ristoranti. Il turismo culturale non è un’opportunità anche per i ristoratori? Ed ecco che il cane si morde la coda.
Nei giorni scorsi, quando ho visto installare le luminarie nelle vie del centro, non credevo ai miei occhi: ho protestato fra me e me e gli operai addetti hanno scosso il capo ed allargato le braccia. Morale della favola: alle luminarie non si può rinunciare. Ma vi sembra il caso di imbastire una sorta di festa collettiva coi morti in casa? Alla morte non si può ovviare alla mancanza di allegria si può rimediare! Ed ecco che il cane non si morde la coda, ma morde le nostre gambe corte.
Luci nelle strade e buio nelle prospettive del governo. Ma chi se ne frega del governo, l’importante è festeggiare. Festeggiare cosa? Qualsiasi cosa pur di distrarsi dalla triste realtà. E finita la festa? Gabbato lo santo e andremo a seppellire i morti.