Un mio simpatico zio, che oserei definire diversamente credente, amava ironizzare benevolmente sull’espressione latina “urbi et orbi”, riferita alla benedizione papale impartita dalla loggia di S. Pietro in occasione delle più solenni festività, come è successo anche per questo Natale. Sostituiva alla definizione suddetta un modo di dire parmigiano: “la benedisiòn bòti da oròb”.
Quando si vuol allontanare brutalmente qualcuno, senza troppo riguardo lo si manda a farsi benedire: un eufemismo piuttosto irriverente verso la fede e la sua combinazione teologica e rituale. Aggiungiamo che la benedizione papale prevede l’aggiuntiva e generosa elargizione dell’indulgenza plenaria da tutti i peccati commessi: quella delle indulgenze è una vecchia e delicata questione storicamente foriera di polemiche e fratture all’interno della Chiesa.
Mai come quest’anno mi sono sentito bisognoso di indulgenza e di misericordia, senza però illudermi che basti un segno di croce davanti al video per purificare il proprio cuore e la propria anima. Sarebbe comodo!
Un papa insolitamente serio, probabilmente irrigidito, se non addirittura infastidito, anche dai soliti penosi, anacronistici ed assurdi onori militari, ha benedetto Roma e il Mondo, risparmiandoci le botte che ci meriteremmo, limitandosi all’invito a vedere Gesù nei bimbi che soffrono. Non è una sollecitazione da poco!
Tuttavia mi permetto di fare un appunto a Sua Santità: da chi innesca processi di rinnovamento si pretende tutto, da chi ha dormito per secoli non si pretendeva nulla. È sempre così… Vado avanti e chiedo: non sarebbe meglio sostituire questi appelli di carattere generale, che comportano una carrellata piuttosto superficiale sulle situazioni di crisi umanitaria, con gesti e appunti concreti e ben mirati, che tocchino veramente in profondità certe situazioni insostenibili, richiedenti interventi immediati? Diversamente le parole passano e i problemi rimangono, addirittura con l’applicazione dell’indulgenza plenaria, che sembra quasi assolvere tutti dai misfatti passati, presenti e futuri.
Il rituale buonismo del Natale è ad altissimo rischio, anche per il Papa. Cominci col mandare a casa guardie svizzere e carabinieri schierati in alta uniforme, che col Natale non hanno proprio nulla da spartire: le uniformi davanti alla stalla di Betlemme erano quelle assai poco alte dei pastori. Gli inni, quello vaticano e quello italiano, hanno una melodia diversa dalle note dei canti angelici del “gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Le folle plaudenti di piazza San Pietro sono eccessive rispetto ai quattro gatti che omaggiarono il redentore appena nato.
Si dirà che la storia è cambiata. Sì, in peggio: in duemila anni siamo riusciti a rovinare tutto. Io credo che il papa, anziché concederci l’indulgenza plenaria, dovrebbe, come fece Gesù, prendere un bastone e cominciare ad affibbiare botte da orbi a quanti hanno travisato tutto: parafrasando una recente omelia di padre Ermes Ronchi, siamo passati da un giorno qualunque, un luogo qualunque, una giovane donna qualunque, un bambino qualunque, la normalità di una casa ridotta a stalla, alle luci delle ribalte profane e delle liturgie solenni nel tempio e nelle piazze. Un Dio che si rivela nella più assoluta quotidianità, mistificato dalla straordinaria pomposità celebrativa: dalla provocante semplicità dell’evento evangelico alla spettacolare solennità dell’evento liturgico.
Forse, magari senza volerlo, mio zio, quando ipotizzava “la benedisión bòti da oròb”, voleva dire proprio questo. Grazie zio!