Il gioiello milanese non interessa la Ue

Non sono un detrattore del processo di integrazione europea, anzi ne sono un estimatore, oserei dire un tifoso, quindi a maggior ragione considero la farsa del sorteggio per l’assegnazione della sede all’agenzia del farmaco (e di quella bancaria) una vera e propria dimostrazione di assoluta incapacità decisionale che dà fiato allo scetticismo europeo. Non è possibile: una confederazione di Stati che ambisce a diventare federazione scivola su simili bucce di banana.

Anche volendo prescindere dalla innegabile sostanza   della candidatura di Milano, pur se si fosse trattato, con tutto il rispetto, di Canicattì, la questione sarebbe stata comunque da censurare sul piano politico e istituzionale. Questo succede per volere a tutti i costi dare in pasto ai rappresentanti degli Stati-membro simili scelte, che dovrebbero spettare alla Commissione o al Parlamento europei.

Si è trattato di una vicenda penosa nel merito, ma soprattutto nel metodo. Se si pensa di far progredire l’idea di Europa unita con queste pagliacciate… Non è un fatto campanilistico, però per ingoiare il rospo della bocciatura di Milano occorrevano convincenti motivazioni alternative, mentre è prevalsa una logica meramente spartitoria culminata nella beffa di un sorteggio, consegnando il futuro europeo alla dea bendata. Roba da matti!

Se da un lato ne esce malissimo la Ue, dall’altro emerge un insegnamento anche per l’Italia e per Milano. Occorre più modestia e più pazienza per ottenere certi risultati. Noi pensiamo che Milano sia in pectore la capitale economica d’Europa e forse lo è nei fatti, ma come avviene in tribunale, per vincere una causa non basta avere ragione, ma occorre trovare un giudice che te la riconosca. Le ragioni di carattere economico, scientifico, organizzativo, deponevano tutte a favore di Milano, ma non è bastato.

Il leader della Lega, Salvini, dopo l’assegnazione della nuova sede dell’Ema ad Amsterdam, attraverso il sorteggio con Milano, non ha perso l’occasione per attaccare la Ue: «Pazzesco che una scelta che riguarda migliaia di posti di lavoro e due miliardi di indotto economico venga presa in Europa con il lancio di una monetina, ennesima dimostrazione della follia con cui è governata la Ue. Prioritario per il prossimo governo sarà ridiscutere i 17 miliardi l’anno che gli italiani versano a Bruxelles». Saro sincero fino in fondo: non riesco a dargli torto.

Come non vedere una prevalenza del Nord-Europa sull’Europa mediterranea incapace di fare massa critica, con la Francia a fare il pesce in barile. Tra le poche cose interessanti e acute ascoltate in una conferenza dibattito di Romano Prodi, già recentemente commentata, c’è sicuramente quella di ipotizzare quanto discredito ricadrebbe sull’Italia se uscisse dalle prossime elezioni con una pantomima simile a quella che sta offrendo la Germania: dopo mesi non riesce a formare un governo e si parla di ricorso a nuove elezioni politiche alla faccia della stabilità quale bene essenziale per una seria partecipazione alla Ue. Mentre alla Germania tutto è concesso, l’Italia deve sputare il sangue per rendersi credibile. Nemmeno esporre in vetrina il proprio gioiello milanese è stato sufficiente.

Se il nostro Paese accoglie i migranti, nessuno è disposto a dargli una mano; se tratta con i Paesi africani per regolamentare i traffici degli scafisti, non va bene; se deve fare i conti con devastanti terremoti, può sforare nei propri conti, ma fino ad un certo punto; se ha le banche in difficoltà non può sostenerle, mentre altri Stati in passato lo hanno fatto eccome; se chiede una politica di sviluppo, prima deve mettere in sicurezza il proprio bilancio; se propone passi avanti nell’integrazione, pensano che lo faccia solo per convenienza e così via. Due pesi e due misure: prima o poi bisognerà pur dire all’Ue di darci un taglio. Perché, come diceva il nostro presidente della Repubblica Sandro Pertini l’Italia non è prima, ma nemmeno seconda a nessuno. Non siamo i parenti poveri, men che meno quando ci presentiamo con un gioiello al collo. Milano e poi più, di Milano ce n’è uno solo: così recitano (la traduzione in italiano toglie immediatezza e incisività) certe meneghine espressioni vanagloriose: ce le hanno buttate in gola. Senza voler fare i Calimero di turno, possiamo dire: è un’ingiustizia però!