Se la Catalogna avesse mai avuto bisogno di eroi per conquistare la propria indipendenza, non li ha certamente trovati in Puigdemont e c. La vicenda catalana si sta trasformando in una farsa con tanto di frettolosa fuga all’estero di fronte alla normale reazione del governo centrale, che ha messo i capi secessionisti nel mirino della magistratura.
Mi sono chiesto più volte: dove vogliono andare i Catalani al di là della goliardica e velleitaria smania autonomista? Hanno contro tutto il mondo, il loro fallimento economico è dietro l’angolo, il rischio isolamento è clamoroso, non hanno classi dirigenti all’altezza della situazione. È bastato che il governo madrileno abbaiasse e lo spavento è stato grande. Armiamoci e partite!
Puigdemont, il leader catalano in esilio, si atteggia a perseguitato politico, ma sta facendo la figura del rivoluzionario a parole, del bambinone che scappa col pallone in mano. Non ho idea come abbia reagito il popolo separatista di fronte a questa fuga: probabilmente si smorzeranno gli entusiasmi. La causa catalana mi è sembrata piuttosto inconsistente, molto piazzaiola e poco politica, molto improvvisata e poco strutturata. Sta diventando un monito per quanti si improvvisano disegnatori di nuovi assetti geo-politici: fanno baccano, ma non concludono niente.
Ce ne sono parecchi in giro per il mondo, per l’Europa e per l’Italia. Sfruttano l’aria che tira, ma, quando il gioco si fa duro, mostrano la corda. Il rischio non è tanto quello di stravolgere gli equilibri, ma quello di creare confusione, di deviare l’attenzione puntandola su obiettivi irrazionali e irraggiungibili.
Facciamo alcuni riferimenti al nostro Paese. I separatisti catalani assomigliano un po’ ai leghisti e un po’ ai grillini. Dei primi hanno la demagogica spinta a semplificare e risolvere i problemi, dividendo la torta a fette, pensando che la propria fetta sia la più gustosa e nutriente. Dei secondi hanno la velleitaria convinzione di rivoltare il tessuto politico come un calzino senza pensare che l’abbigliamento da rinnovare è assai più complesso. Siamo nella categoria politica degli avventurieri: possono anche incantare, ma poi…
Vogliono salvare la patria cambiandola, dividendola, mettendola a soqquadro: patrioti a rovescio. La politica non ha bisogno di patrioti e di eroi, ma di uomini coraggiosi, che sappiano affrontare i problemi senza scassare tutto.
La generalizzata sfiducia nella politica offre il brodo di cottura ai rivoluzionari da operetta, fino al momento in cui la minestra scuoce e diventa immangiabile. C’è un termine del dialetto parmigiano che rende bene l’idea dello spaccone, del millantatore, del soggetto che vuole rompere tutto, che vuole lacerare i rapporti, stracciare i documenti e i patti: “zbragaverzi” (zbragar ‘l verzi, cioè non concludere un cavolo). Vale per Puigdemont, per Salvini, per Grillo. Il più grande “zbragaverzi” del mondo è però…Donald Trump. Se non erro i Piacentini usano un termine analogo, ancor più colorito: “balanud”. Puigdemont in Belgio, dove è scappato, sta ballando nudo, con le mani in tasca.