Prima si vota, poi si (s)ragiona

Sono due i modi per arrivare a decisioni sbagliate: affrettare i tempi e scegliere sull’onda emotiva del momento oppure allungare i tempi e lasciare che gli eventi decidano al posto nostro. Nella mia vita, per indole ansiogena e carattere scrupoloso, sono stato portato ad attendere troppo e quindi a lasciarmi condizionare da timori e paure, arrivando spesso a scegliere fuori tempo massimo. Mia sorella infatti mi definiva bonariamente come l’eterno preoccupato: di non farcela, di fallire, di non essere all’altezza, perdendo i treni che passano una sola volta e mancando le occasioni che non si ripresentano più. Così facendo, da una parte, in senso negativo, si rischia di rimanere paralizzati dall’assurda ricerca di un impossibile   perfezionismo, dall’altra, in senso positivo, si è spinti a migliorare le proprie prestazioni senza mai accontentarsi dei risultati raggiunti.

Ho introdotto questa digressione psicologica con evidenti cenni autoreferenziali al fine di analizzare un fenomeno che si sta verificando: la superficialità pre-elettorale, l’emotività elettorale e il pentimento post-elettorale. Detta in parole povere: si discute di politica dando aria ai denti, si vota con la pancia e quel che segue, poi, finalmente ma tardivamente, si comincia a ragionare con la testa. Dei due suddetti schemi decisionali si tende quindi ad utilizzare il primo, quello dell’emotività, quasi per fare dispetto alla razionalità. Si vota di getto e alla carlona, si consuma la scheda, bastano pochi giorni per tornare in se stessi e capire di avere sbagliato, ma è tardi e la frittata è fatta.

È successo in Gran Bretagna con la Brexit: se oggi si rivotasse sono convintissimo che il risultato verrebbe ribaldato. Stanno infatti venendo a galla tutti gli equivoci e le falsità sulle quali ha incespicato l’elettorato inglese. Analogo discorso si sta verificando negli Stati Uniti: ogni giorno emerge clamorosamente la colossale gaffe commessa dagli americani nel dare fiducia a un personaggio che non la meritava. Loro stessi si stanno accorgendo del bluff colossale di Donald Trump. Qualcosa di simile sta succedendo anche in Francia dove l’indice di popolarità di Emmanuel Macron è in caduta libera. Può darsi succeda anche in Germania: la perdita di consensi dei cristiano democratici e sociali nonché soprattutto dei socialdemocratici porterà solo un po’ di ingovernabilità e un pizzico di antieuropeismo e i tedeschi capiranno, ma in ritardo, di avere votato a vanvera.

Questa volatilità nei consensi, che spesso rende inaffidabili i sondaggi, dipende dalla leggerezza con cui si sceglie. Più che di populismo (vale a dire lisciare il pelo all’elettore) si può parlare di qualunquismo (sfruttare la volubilità e la superficialità dell’elettore).

I motivi per cui si sta cadendo in questa pericolosa trappola, sostanzialmente anti-democratica, sono tanti, riconducibili ad una sempre più striminzita idea di democrazia quale scelta una tantum per banalizzare la politica. Siamo su questa strada anche in Italia, basti verificare l’assurdo e paradossale credito concesso a personaggi inconsistenti e inqualificabili. Ne prendo due a caso (?), riconducibili alla deriva irrazionale in corso. Luigi Di Maio: basterebbe poco per capire che si tratta di un sacchetto pieno di niente, che magari si presenta bene, ma evidenzia immediatamente un vuoto politico pneumatico. Eppure va per la maggiore o almeno così sembra… Matteo Salvini: un triviale arruffapopolo, che recita a soggetto frusti copioni di sconvolgente memoria, che usa un linguaggio inaccettabile per dire cose ancor più inaccettabili. Eppure miete consensi o almeno così sembra…

Al solo pensiero di consegnare il Paese in mano a simili esponenti politici mi tremano le vene ai polsi. Se dovesse succedere, la realtà impiegherà poco a venire a galla, ma sarà tardi e in politica, come in certe strade, non è ammessa l’inversione di marcia. Bisogna aspettare la prima deviazione possibile, nel frattempo non so cosa sarà successo.

La chiamano terza repubblica: la prima basata sul dualismo tra democristiani e comunisti con l’intromissione devastante dei socialisti; la seconda fondata sul conflitto tra berlusconiani e antiberlusconiani con l’influenza artificiosa dei media; la terza costruita sullo scontro tra politica debole e antipolitica forte. La prima repubblica si basava sulle ideologie, la seconda sugli affari, la terza vive di sondaggi. Di male in peggio. Tornerei volentieri indietro.