La catena di montaggio della sala parto

Non sono un patito delle statistiche, delle ricerche e delle indagini, ritengo tuttavia, che pur non fornendo dati da prendere alla lettera, segnalino certe tendenze e osservino certe realtà. Da una ricerca Doxa esce il dato sconvolgente che negli ultimi 14 anni sarebbero state circa un milione le madri in Italia, pari al 21% del totale, vittime di qualche forma, psicologica o fisica, di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità, donne che sarebbero state “maltrattate” in corsia durante il parto.

Qualcosa sotto ci dovrà pur essere di vero e di inaccettabile. Bisogna andare adagio nello squalificare e colpevolizzare una struttura e tutti coloro che in essa operano, non basta un’autorevole ricerca a sputtanare tutti i reparti di ginecologia ed ostetricia del Paese, ma un po’ di verità ci potrà pur essere. Tra l’altro di   questo strano e incontrollato fenomeno si è sempre sentito parlare: vox populi, vox dei e vox statisticae!

Vai a capire il perché. Probabilmente in sala parto si scontrano la meravigliosa, ma delicata e rischiosa, situazione psicologica e fisica della donna con la solita routine ospedaliera: la fabbrica dei bambini, la catena di montaggio dei parti non ammette di andare per il sottile. Un conto è però la freddezza sanitaria, un conto è il maltrattamento. Non entro nel merito in cui peraltro entra la ricerca Doxa.

Mi viene spontaneo fare una riflessione provocatoria. La stragrande maggioranza degli operatori sanitari risulta essere obiettore di coscienza in materia di aborto. Ci sarebbe da discutere, ma il mio ragionamento è un altro. Come mettono d’accordo, questi medici e infermieri, la loro oltranzistica difesa della vita con il fatto di accoglierla in modo violento o comunque non adeguato. C’è una contraddizione palese! Da una parte si vorrebbe che la donna partorisse il figlio a tutti i costi per poi dall’altra maltrattarla proprio mentre dà alla luce il figlio stesso. Misteri della struttura sanitaria e di chi vi opera dentro.

Ammetto che la donna viva quei momenti con una carica psicologica particolare e quindi possa essere particolarmente e forse esageratamente sensibile ai comportamenti che le stanno intorno. Di qui a giustificare veri e propri maltrattamenti ce ne passa di strada.

Forse invece di sollevare questioni di principio sarebbe il caso di comportarsi bene nelle faccende concrete del quotidiano. C’è di che riflettere per tutti e di che indagare e intervenire per i responsabili della sanità ai vari livelli.

Una cosa è certa: l’evento più bello per una donna, ma anche per la sua famiglia e per tutta la società, rischia di essere rovinato da comportamenti trasandati, “routinari”, per non dire di peggio. Se è questo il sostegno alla maternità di cui ci si riempie la bocca, andiamo proprio bene.

Non è il miglior viatico per chi deve scegliere se diventare madre oppure no, né per chi deve decidere se diventarlo per una ulteriore volta. A giudicare dal numero di studenti che frequentano le facoltà di psicologia non dovremmo avere problemi a trovare psicologi da immettere nei reparti di ginecologia e in sala parto. Ho cominciato dicendo che non credo molto nella statistica. Termino affermando che non credo molto nella psicologia. Ma visto che la statistica ci consegna un quadro choccante e allarmante, visto che la deontologia professionale non è sufficiente, proviamo ad allargare il campo. Sarà il caso di rispondere battendo un tasto, magari proprio quello della psicologia.