Indaga ben chi indaga Ultimo

«Stiano sereni tutti, perché mai abbiamo voluto contrastare Matteo Renzi o altri politici, mai abbiamo voluto alcun potere, mai abbiamo falsificato alcunché. L’unico golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica, quelli che non hanno una casa, quelli che non hanno un lavoro e quel golpe non lo hanno fatto e non lo fanno i carabinieri». Questa è la linea difensiva del colonnello Sergio De Caprio, noto come capitano Ultimo da quando guidò la cattura di Totò Riina nel 1993, che è stato componente del Noe (Nucleo operativo ecologico), passato negli anni scorsi ai Servizi (Aise) e poi ritornato nell’Arma.

Questo illustre carabiniere è chiamato pesantemente in causa dall’inchiesta nell’inchiesta: sì, perché sembra, sempre più, che due carabinieri e un magistrato spingessero, volendo usare un eufemismo, l’inchiesta sulla corruzione su Cpl-Concordia e Consip (irregolarità negli appalti per la metanizzazione a Ischia e nelle procedure dell’agenzia centralizzata per la concessione degli appalti nella pubblica amministrazione e relative rivelazioni del segreto d’ufficio), verso l’alta politica, coinvolgendo il padre di Matteo Renzi e lo stesso Renzi. “Ha una bomba in mano”, “Succederà un casino, arriviamo a Renzi”, dicevano il capitano Giampaolo Scafarto e il colonnello Sergio De Caprio al procuratore di Modena, Lucia Musti, a cui erano arrivati documenti in merito ad una delle due inchieste, come la stessa procuratrice ha dichiarato al Consiglio Superiore del Magistratura, che vuole vedere chiaro   su questi strani comportamenti e la procura di Roma, che sta “indagando sulle indagini” (ipotesi di falso per i suddetti carabinieri e di violazione del segreto d’ufficio e falso per il pm di Napoli Henry John Woodcock, titolare iniziale di queste indagini poi trasferite a Roma).

Sta emergendo un quadro al limite dell’eversivo, con carabinieri ed un giudice che avrebbero tramato contro il capo del governo: ipotesi inquietante, che dimostrerebbe pesanti e illegittime interferenze politiche da parte di appartenenti ad alcuni corpi ed organi dello Stato.

Non entro nel merito delle questioni, altri lo stanno facendo a livello giornalistico (non sempre con obiettività e coerenza) e a livello giudiziario (non ho idea se mai si arriverà in fondo a queste inchieste a dir poco sconvolgenti). Resto alla dichiarazione emblematica da cui sono partito.   Un carabiniere di alto grado, accusato di aver puntato al potere politico sulla base di falsi atti di indagine, si difende buttando il tutto ancor più in politica con affermazioni da comizio elettorale, con accuse demagogiche di golpe verso i governanti ai danni della povera gente.

Siamo alla follia istituzionale; forse sarebbe il caso che il Presidente della Repubblica intervenisse a mettere un po’ d’ordine. Qualcuno ha certamente esorbitato dai suoi compiti, creando illegittimamente discredito sul capo del governo e qualche giornale (che fa il primo della classe contro il malaffare) gli ha fatto da cassa di risonanza, nascondendosi magari dietro il diritto/dovere di pubblicare le notizie che comunque arrivano in redazione. Ognuno si prenderà le sue responsabilità, nelle forze di polizia, nella magistratura, nella stampa.

Ma questo gravissimo corto circuito istituzionale ha in questi giorni ben due contraltari. Matteo Salvini, attuale leader della Lega, grida al golpe perché la procura di Genova ha messo sotto sequestro i conti correnti del suo partito dopo la sentenza di condanna al fondatore della Lega Umberto Bossi ed il suo ex tesoriere per truffa ai danni dello Stato per 48 milioni di euro. Secondo Salvini la Lega non sarebbe più la stessa e verrebbe impropriamente chiamata a rispondere per il comportamento scorretto di suoi ex dirigenti, con grave pregiudizio per la sua attività politica. La procura ribatte che i soldi devono essere ricuperati in prima battuta presso chi ne ha beneficiato e quindi presso il partito della Lega, a risarcimento dello Stato che è stato defraudato. Quindi un golpe inesistente e ridicolo, come ridicolo è il modo di fare politica di questo assurdo personaggio: se la Lega ha rubato deve restituire il maltolto, punto e stop. Il resto è farneticazione populista e demagogica.

In sede parlamentare due presidenti di commissione, Roberto Formigoni e Altero Matteoli, condannati per corruzione o giù di lì, restano come se niente fudesse, al loro posto fregandosene altamente delle questioni di etica-politica.

La politica, che cerca il privilegio e se ne sbatte altamente della magistratura, finisce col legittimare i comportamenti giudiziari sbracati ed esagerati contro la politica al limite dell’interferenza o della falsificazione delle carte in tavola. Finisce col dare ragione al colonnello De Caprio, alias capitano Ultimo, ed alle sue farneticazioni.