Il morto nella stiva

Mi scuso in anticipo della macabra brutalità con cui forse mi esprimerò. Il problema della sanità in Italia non è certo la collocazione dei morti, ma la cura dei vivi. Tuttavia anche il percorso delle salme non è e non è mai stato dei più dignitosi e rispettosi per il defunto e per lo stato d’animo dei parenti. Ho fatto purtroppo alcune esperienze al riguardo, non al limite della denuncia, come è successo all’ospedale Cardarelli di Napoli, ma piuttosto eloquenti .

Innanzitutto molto spesso si muore senza un minimo di privacy, dietro ridicoli paraventi, in mezzo alla normale vita dei reparti, senza il conforto dei propri cari tenuti lontani da rigide e assurde discipline. Ricordo la sera in cui si capiva benissimo che a mio padre restavano poche ore di vita: io e mia sorella esprimemmo il desiderio di rimanere accanto al letto per accompagnare umanamente il decesso anche se mio padre era ormai privo di conoscenza.

Ebbi un imbarazzante discussione col medico di turno che consentì la presenza di una sola persona: rimasi io, mia sorella poté raggiungermi solo quando mio padre fu proprio in punto di morte. Espressi amara comprensione al solerte operatore sanitario che faceva rispettare le regole, ma gliele ributtai addosso dicendo che si trattava di norme a sbrigativa misura organizzativa e non certo a misura umana: sfogo doveroso ma inutile.

Dopo la morte si ha l’impressione che la salma venga collocata in stanzette d’occasione con discutibile rispetto dei vivi e dei morti. Nel caso di mia madre rimanemmo per ore in attesa che arrivassero i portantini per il trasferimento in necroscopia. Solo la consueta e sacrosanta irruenza di mia sorella riuscì a sbloccare la situazione: se ne erano dimenticati e quindi, se mia sorella non fosse intervenuta chiedendo aiuto ad un’amica infermiera, saremmo forse ancora là ad aspettare un macabro Godot.

Posso capire che sia opportuno preoccuparsi più dei vivi, per i quali si dovrebbe puntare alla guarigione, che non dei morti, ai quali si dovrebbe garantire solo una dignitosa uscita di scena. Mi ha sempre commosso come i vigili urbani si mettano sull’attenti al passaggio di un carro funebre. Meriterebbe uguale rispetto il tragitto precedente, dal letto alla bara.

E veniamo al Cardarelli ed allo strascico polemico successivo alle dichiarazioni di una persona che ha osato dire quanto probabilmente molti hanno osservato in silenzio per evitare inutili discussioni in momenti inadatti a scontri verbali: una salma messa quanto meno nel punto sbagliato, in bella vista di chi si recava al gabinetto, in una stanzetta che quando non serve a medicare i vivi serve ad ospitare i morti (tanto…che differenza fa?).

Il direttore della struttura sanitaria ha interpretato alla perfezione e con appropriati accenti burocratici il ruolo dello scandalizzato, ha espresso una fredda e imbarazzata difesa d’ufficio, complice una cronista pronta a legare l’asino dove vuole il padrone: questo direttore senza cuore in realtà capiva perfettamente la gravità della situazione strutturalmente indifendibile e si nascondeva dietro prassi e procedure penosamente insufficienti.

È molto grave morire in attesa dell’ambulanza che non arriva o dell’intervento tardivo dei sanitari o per svarioni diagnostici o chirurgici o terapeutici; è insopportabile vivere il ricovero in reparti igienicamente insufficienti o addirittura vergognosamente animaleschi; è altrettanto inaccettabile morire in mezzo al “traffico ospedaliero” ed essere trattati da oggetti ingombranti dopo la morte. La sanità continua ad essere un carrozzone in cui si fatica a trovare la giusta accoglienza, dalla nascita (ancor prima…) fino alla morte.

Termino con un pensierino paradossale: forse, quando uno è costretto ad impattare l’ambiente ospedaliero, è più preoccupato degli aspetti logistici dell’autentico labirinto in cui entra che non delle sofferenze della sua malattia. Se fosse possibile essere curati e morire a casa propria, lo farei, a costo di rimetterci magari qualche anno di vita. Butterfly, prima di suicidarsi per l’insopportabile tradimento sentimentale patito, afferma solennemente: «Con onor muore chi non può serbar vita con onore…». Il dramma di Butterfly è teatrale: nella vita ospedaliera è ancor peggio.