Ipocondria da corruzione

In Italia c’è un po’ di tutto: chi ha tanto pelo sullo stomaco da ridere sui terremoti, pregustando i vantaggi economici dell’appaltabile ricostruzione; chi tira un sospiro di sollievo per una sentenza che toglie alla corruzione romana l’infamia della mafia (la cacofonia è voluta); chi grida allo scandalo, sulla casette destinate ai terremotati del Centro-Italia, prima che ci sia: è bastata la notizia dell’apertura di un’indagine per criminalizzare i costruttori di questi alloggi con la possibilità di fare una scorpacciata di sputtanamento verso le cooperative vicine al Pd (cooperative rosse, brigate rosse, casette rosse: l’anacronistico toro anticomunista è sempre in agguato); chi gode e alimenta la sfiducia per il clima di malaffare dilagante, pensando di incassarne il paradossale dividendo in termini di voti qualunquisti (il populismo vive di questa deriva in cui non si riesce più a capire se è più qualunquista chi è corrotto o chi si schermisce dalla corruzione); chi tenta di negare l’evidenza per pulirsi la coscienza politica accontentandosi della sgrossatina capitolina indotta dalla sentenza sull’affarismo romano, ridenominato e ridimensionato (almeno concettualmente) con pignola, ma doverosa, cura giudiziaria.

L’Italia è bella perché è varia. A suo tempo Leonardo Sciascia aveva teorizzato “la mafia dell’antimafia”. Ora sarebbe il caso di parlare di qualunquismo dell’antiqualunquismo,   di sporcizia dell’antisporcizia o giù di lì. Ai tempi di tangentopoli un mio caro amico che bazzicava la Germania per importanti motivi di lavoro mi confidò a ragion veduta qual era la differenza tra Italia e Germania in materia di corruzione: nessuna nei fatti, perché esiste in abbondanza in entrambi i Paesi; grande nell’eco mediatica, perché, mentre in Italia se ne parla e ci si scandalizza, in Germania si tace per carità di patria.

Dico la verità, a volte al termine della lettura di certe cronache sui casi in odore di malaffare mi chiedo: e dove sono i reati? Esiste ormai una sorta di presunta colpevolezza per chi svolge certi ruoli e certe funzioni pubbliche? Che a Roma un dirigente del comune su tre sia indagato per reati riconducibili al malaffare nella pubblica amministrazione mi sembra un dato che impone serie riflessioni: stiamo esagerando nelle inchieste giudiziarie sparando a raffica nel mucchio o stiamo effettivamente affondando nel mare inquinato della trasgressione affaristica?

Vigilare, controllare, scovare i furfanti, condannare i colpevoli, risanare i rapporti tra pubblico e privato, riportare la politica all’onorabilità richiesta dalla Costituzione, sono tutte esigenze imprescindibili. Attenti, però, perché le rivoluzioni (lo insegna la storia) scadono nel terrore, che spara a vanvera nel mucchio finendo per colpire gli innocenti e col buttare il bambino assieme all’acqua sporca.

Può succedere quel che capitò ad un mio simpatico collega, il quale a fronte dei suoi disturbi di carattere fisico, diceva con spietata auto-convinzione: nelle cause delle mie malattie voglio andare fino in fondo per curarmi al meglio! E non si accorgeva, di piombare, piano piano, dentro alla peggiore delle malattie: l’ipocondria. Alle sue vere malattie ne aveva aggiunta una immaginaria ma deleteria, psicologicamente paralizzante e fisicamente imbarazzante.