«Renzi ha esercitato una forte pressione per farmi cacciare dalla Fondazione (quella dei socialisti europei: ndr). Si è vendicato della mia esistenza, ma la mia esistenza è, e sarà, per lui un problema. Finché mi sarà dato di esistere non potrà stare tranquillo». Parole in libertà di Massimo D’Alema, che mette in campo tutto il proprio fegato nel già pretestuoso dibattito sulla politica fiscale ed economica di destra e di sinistra.
Ho sempre accreditato a D’Alema tre doti: intelligenza (direi più furbizia), senso politico e vis polemica. L’ho ammirato per questo al punto da considerarmi, in tutta umiltà, pronto a collaborare con lui e nel suo centro studi, qualora me lo avesse ipoteticamente chiesto. Questo per rendere l’idea della mia considerazione e del mio interesse per questo tagliente e divisivo uomo politico.
Nello scontro in atto nella sinistra italiana (si tratta più che altro di insofferenza verso Matteo Renzi ed il suo modo di fare politica) ammetto che la confusa e nostalgica area riferibile a Sinistra italiana (i residuati bellici di Sel), Mdp articolo 1 (gli irriducibili Bersani, D’Alema e c.), Campo progressista (i seguaci di Giuliano Pisapia) possa annoverare personaggi in buona fede, vedovi dell’ideologia e alla ricerca dell’identità perduta. In questo rassemblement si schiera però gente che ha come unico scopo spazzare via Renzi: in un certo senso l’antirenzismo ha sostituito l’antiberlusconismo, la individuazione di un comune nemico è il miglior collante per chi è a corto di idee e di programmi. Anche l’antiberlusconismo si è purtroppo rivelato nel tempo anche un paravento per coprire tutti i difetti della sinistra politica e sociale. Non a caso mi sono sempre dichiarato non tanto un antiberlusconiano, ma un aberlusconiano: non è il caso di spiegare la differenza…
Il portabandiera di questa asfittica e penosa armata antirenziana è proprio Massimo D’Alema. Se qualche dubbio poteva ancora sussistere le sue aperte e biliose dichiarazioni lo hanno sciolto. Delle tre suddette qualità è rimasta solo la vis polemica fine a se stessa o, meglio, finalizzata ad una sorta di vendetta personale. L’intelligenza si è annebbiata ed ha lasciato il posto alla furbizia di puro galleggiamento, il senso politico si è imprigionato negli schemi tradizionali e superati, la sensibilità ai problemi della gente non è mai esistita. Anche in passato la polemica e lo scontro personale tendevano a soffocare la vera politica, ma qualcosa di valido rimaneva. Ora gli altarini si sono scoperti. Se la rottamazione voluta da Renzi è fallita, ha comunque innescato un benefico processo di autorottamazione.
Sì, perché sono convinto che D’Alema, al di là delle sfuriate antirenziane, abbia perso ogni credibilità ed autorevolezza anche nella sinistra tradizionale: non è certamente un punto di riferimento per le anime inconcludenti e belle della sinistra-sinistra. È diventato, per usare un’immagine che Dell’Utri riferiva a Cossiga, il nonno sclerotico che gira per casa in mutande. Chi vede in queste schermaglie dalemiane la prova di una rottura irreversibile alla base della sinistra, sbaglia perché la rottura se avverrà non sarà certo orchestrata e pilotata da quel D’Alema che è più di inciampo che di aiuto: con quale credibilità infatti potrebbe essere un leader della sinistra casta e pura, lui che ha sempre incarnato il pragmatismo e la spregiudicatezza della sinistra e che è sempre stato mal sopportato dalla base comunista prima e da quella ulivista e piddina poi.
Penso che Giuliano Pisapia, e non solo lui, se potesse, si libererebbe di questo scomodo interlocutore. Ma la storia della sinistra è fatta anche e purtroppo di ingombranti personaggi come Massimo D’Alema. Renzi ci ha provato e non c’è riuscito: li ha messi alla porta e se li è ritrovati alla finestra. Non mi sento attratto dalle velleità pisapiane, mi sembrano una ricetta generica e scaduta. Se però riuscirà a pulire la sinistra da certe impostazioni e incrostazioni di stampo prevalentemente post-comunista, avrà un indubbio merito politico.