Il suicidio assistito dei carcerati

Mentre dirigenti e militanti radicali proseguono imperterriti le loro importanti battaglie sull’illegalità dello stato delle nostre carceri nell’indifferenza politica e mediatica e nella (quasi) ostilità di larga parte della pubblica opinione, continua la triste sequela di suicidi a livello di detenuti, indubbio e tragico sintomo di un malessere inaccettabile nella vita degli istituti di pena e della mancanza incostituzionale del perseguimento della rieducazione del condannato.

Il fatto, che mi ha da sempre impressionato e che dovrebbe rendere l’idea delle drammatiche tensioni esistenti nell’ambiente carcerario, riguarda il suicidio piuttosto frequente di guardie carcerarie: un clima di terrore che avvolge i detenuti e chi li controlla in una paradossale violenza, che rende tutti uguali di fronte alla non legge. Ho provato a immaginare quali rapporti (non) umani si vengano ad instaurare nelle patrie galere, probabilmente la realtà supera la fantasia.

Sono tante e tutte risibili le motivazioni che portano la gente a sottovalutare o giustificare la realtà carceraria che oltre tutto ci viene ripetutamente rinfacciata dall’Unione Europea. Si va dallo scantonamento della giustizia in mera vendetta all’illusione che la brutalità della pena possa rappresentare un efficace deterrente contro la delinquenza, dalla priorità dei buoni (sarebbero i poveri che chissà perché vengono ricordati solo per soffocare altri poveri, come nel caso dello Ius soli) rispetto ai cattivi (coloro che devono pagare un prezzo non un annientamento), dall’ansia di sicurezza alla voglia di risanamento, cominciando i compiti dalla fine.

C’è naturalmente chi cavalca la tigre a livello politico, seminando paura e sgomento, che talora sfiorano persino il desiderio di ripristinare la pena di morte. Siccome tale pena non viene reintrodotta legalmente, la si applica surrettiziamente tramite l’abbondante ricorso al suicidio dei carcerati (forse si tratta dell’unico caso di suicidio assistito ammesso dalla nostra legislazione).

Mi sembra di sentire delle voci contrarie ai miei argomenti. “Con tutti i problemi che esistono, possibile che ci si preoccupi del trattamento da riservare ai delinquenti?   Io butterei via la chiave e succeda quel che deve succedere”. Sparate da bar, purtroppo molto frequentato. Lasciamo perdere gli errori giudiziari, non consideriamo le lungaggini della detenzione in attesa di giudizio, resta comunque una realtà assurdamente inumana, che non possiamo accettare rimuovendola dalle nostre menti con le fasulle argomentazioni delle carceri permissive e delle scarcerazioni facili. Non bisogna fare confusione, ma ragionare e, sul piano razionale oltre che umanitario, prevale senza alcun dubbio l’esigenza di una detenzione seriamente imposta, ma altrettanto seriamente impostata. Proviamo a pensarci al di là delle solite stupide battute. Ricordiamoci che i detenuti, come tutti i cittadini a seconda del loro stato, sono titolari di diritti e di doveri. I diritti, a cominciare da quello alla vita e alla propria dignità, sono incancellabili, pena il passaggio da uno stato di diritto ad uno stato oppressivo ed illegale, col quale, prima o poi, saremo eventualmente tutti chiamati a fare i conti.