Una Cei a (bergogliana) libertà vigilata

Ho intravisto, come del resto molti commentatori, con sollievo e soddisfazione la nomina del nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, quale fine di un lungo e oscuro periodo nella conduzione dell’episcopato italiano volto più alle manovre ed ai compromessi politici che all’impegno pastorale

“La Chiesa negli ultimi 30 anni si è abituata a un abito clericale che garantisce la riproduzione del proprio apparato senza che a questo corrisponda un rinnovamento profondo legato all’evangelizzazione”, così dice don Luigi Ciotti e questo discorso vale anche e, forse, soprattutto per la Chiesa italiana.

Quindi finalmente si ha la sensazione e la speranza di un voltare pagina, di un cambio di registro, indotti dal nuovo stile papale e dalle sue scelte, che pian piano arrivano a toccare anche le persone a livello di gerarchia. Non so fino a qual punto il cardinale Gualtiero Bassetti, vescovo di Perugia, sarà in grado di compiere l’auspicata svolta a livello Cei: avrà in questo un appoggio ed un conforto essenziale nel Papa, che lo ha nominato seppure dietro segnalazione di un’assemblea comunque ben orientata dalle evidenti opzioni bergogliane.

Il pontificato di Francesco, assieme alle tante speranze di rinnovamento, mi mette un serio dubbio: il suo carisma, la sua sensibilità, il suo coraggio stanno ponendo beneficamente a soqquadro la Chiesa a tutti i livelli. La sta letteralmente rivoltando come un calzino, almeno in certi campi fondamentali. Il timore è però che tutto ciò possa essere esclusivamente legato a lui e non si traduca a cascata in metodi, stili e procedure nuovi per la gerarchia e per la Chiesa che vive con lui e che verrà dopo di lui. Lunga vita a papa Francesco, ma la Chiesa deve andare oltre e metabolizzare i suoi insegnamenti traducendoli in tesori che non soffrano l’usura del tempo.

Per tornare alla nomina del presidente della Cei, questa volta (regnante papa Francesco) la regola della nomina papale si è rivelata opportuna, ma non è concettualmente giusta: gli equilibri potrebbero ribaltarsi nel tempo e quindi sarebbe importante fissare una regola democratica fino in fondo, che vada al di là delle terne (sono sempre state un escamotage per glissare democrazia e responsabilità).

Vedo che in tutto si sta verificando questo stretto collegamento tra stile papale e stile ecclesiale: può essere uno stimolo ed un impulso, ma potrebbe rivelarsi anche un freno e soprattutto, in prospettiva, una fuga dalla partecipazione ed un preludio al ritorno indietro.

Mi si dirà che la Chiesa ha un asso infallibile nella manica: lo Spirito Santo, un Dio che vede e provvede, ma che vuole anche avere bisogno degli uomini e li lascia spesso sbagliare. Sarebbe quindi a mio giudizio molto importante che le “conquistate novità bergogliane” fossero sistematicamente consolidate.

Servirebbe anche a togliere un peso   eccessivo che va accumulandosi sulle robuste spalle di Francesco, ma non ha senso trasformarlo nel “superpapa” della rivoluzione. Forse non c’è bisogno di superuomini e di rivoluzioni, basta tornare al Vangelo. In fin dei conti è quel che sta facendo Bergoglio, ma si sforzi di tradurlo in pillole da far ingoiare alla Chiesa istituzione e alla Chiesa comunità. Non deve aver paura, il popolo di Dio è con lui. E non succederà quel che successe a Gesù dopo qualche giorno da quando lo osannavano come Figlio di Davide. Anche perché, come lui chiede continuamente (probabilmente sente tutto il peso e teme di soccombere), si sta pregando molto per lui: chiedete e otterrete…