L’altare e la polvere

In questi ultimi giorni sono successi due fatti che hanno lasciato intravedere strani ed imprevedibili sviluppi per il futuro della storia statunitense e russa. È improvvisamente emersa la potenziale debolezza politica dei due uomini forti della scena internazionale: il neofita Trump e il collaudato Putin. Due mondi, due personaggi, lo stesso intento di aggirare la democrazia.
Ogni simile ama il suo simile e infatti i due sembrano quei cani che si fiutano per valutare la possibilità di fare insieme animalesche porcherie. Uno è appena salito al potere, l’altro si è letteralmente avvinghiato al potere da diciassette anni. Uno viene da un sistema democratico di cui è un frutto bacato, l’altro da un regime comunista di cui era un feroce protagonista. Uno è un imprenditore spregiudicato prestato alla politica sporca, l’altro un politico sanguinario prestato agli affari loschi: il loro metodo mafioso, il loro stile populista, la loro visione cinica li destinano ad un ignobile connubio sulla pelle del mondo intero. In questi giorni però due sassolini sono entrati nei loro oliati congegni.
Trump ha perso in casa, nel Parlamento dove il suo partito domina, una prima partita, quella della riforma sanitaria: voleva spazzare via la legge vigente nelle sue pur contraddittorie e parziali aperture sociali, per tornare ai brutali meccanismi del liberismo dal volto disumano e del capitalismo assai poco compassionevole, ma ha dovuto mettere nervosamente le pive nel sacco. Quel po’ di separazione dei poteri esistente negli Usa ha funzionato al di là degli schemi e delle maggioranze di partito.
Putin ha perso feeling con le piazze, laddove lui giganteggia da anni. I russi danno qualche importante segnale di insofferenza e puntano a sfidarlo, attaccando il suo burattino Medvedev, colpito e sbeffeggiato da una forte protesta anti-corruzione.
Non c’è da illudersi più di tanto: le maggioranze silenziose possono in ogni momento prevalere sulle minoranze politicizzate, anche se la storia molto spesso l’hanno fatta, nel bene e nel male, certe minoranze. Probabilmente Trump riuscirà a far rientrare la fronda parlamentare e Putin riuscirà a soffocare la rivolta. Per ora basta sapere che nelle due super-potenze c’è ancora chi ragiona con la propria testa.
A latere c’è la Cina, una miscela esplosiva tra comunismo politico e capitalismo economico, che prima o poi imploderà, quando cederanno le pazzesche ingiustizie e contraddizioni sociali su cui si regge.
In mezzo c’è l’Europa che deve trovare le sponde in se stessa per competere: ne ha il potenziale economico, non ne ha la coesione e la convinzione politica.
Negli USA è iniziata una capitalcrazia democratica, in Russia abbiamo una democratura oligarchica e mafiosa: denominatore comune il populismo che incanta e affascina le masse scettiche e insoddisfatte. La gente a volte fa alla svelta a mutare le opzioni, basta poco.
Un caro amico che ha fatto qualche viaggio in Russia in cerca di affari per la società di cui è abile manager, mi diceva che in Russia si respira un’aria mafiosa che ti avvolge in tutto e per tutto, si avverte una incredibile cappa oppressiva . Non so se potrà bastare l’oppositore russo Aleksej Navalnyj ad incendiare e “sistemizzare” la rivolta, battendo il chiodo della corruzione.
Non ho idea se l’orgoglio democratico statunitense, risvegliato magari da un Obama in versione casual, basterà a inceppare il meccanismo trumpiano.
Non capisco se la Cina potrà essere il terzo incomodo, ma soprattutto non vedo il ruolo concreto dell’Europa. Gli Usa e l’URSS aiutarono gli europei a sconfiggere il nazismo ed il fascismo. Riuscirà l’Europa ad aiutare americani e russi a liberarsi, prima che sia troppo tardi, dei loro Napoleoni da strapazzo. Sperar non nuoce. Allora funzionò la globalizzazione della guerra, speriamo che oggi funzioni la globalizzazione della democrazia e della pace.