Un calcio degli (e agli) allenatori

Il pianeta calcio è condizionato dal tormentone continuo degli allenatori e dall’impellente bisogno di stadi nuovi, tutti da costruire e poi…da riempire.

In primo piano ci sono gli allenatori, che vanno e vengono, che litigano con i presidenti e con i giocatori, che discutono con gli arbitri, che oscillano tra stucchevoli interviste e penosi silenzi stampa, che si mettono sul mercato ancor prima di aver finito il loro compito, che aggiungono un deprimente non-spettacolo allo spettacolo. Fino a qualche tempo fa ero dalla loro parte, li consideravo un po’ le predestinate vittime sacrificali degli inevitabili insuccessi dei più e i precari protagonisti dei trionfi dei meno. Ora il discorso sta cambiando: hanno rubato la scena e se la tengono ben stretta, trovano sempre e comunque un motivo per stare in passerella, vincano o perdano, parlino o stiano zitti, stiano sugli altari o cadano nella polvere.

Credo sia un modo per implementare un bacino d’utenza che si sta assottigliando e per contribuire a spostare ulteriormente l’attenzione dal calcio giocato al calcio parlato, dai campi agli studi televisivi: in questa sarabanda si sta imponendo maliziosamente la figura dell’allenatore quale deus ex machina. Un tempo pagava per tutti, adesso tutti pagano per lui: è al centro della Kermesse, è il capo-comico, tutto ruota intorno a lui nel bene e nel male. Anche nei bar, storica e collaudata sede della discussione calcistica, si parla non tanto dei calciatori ma di schemi e ruoli, di sostituzioni e di formazioni. Non siamo solo tutti selezionatori della nazionale di calcio, ma siamo diventati addirittura tutti allenatori a tempo pieno.

Al termine di un incontro di calcio di tanto tempo fa, finito molto male per il Parma, l’allenatore Canforini fu accolto all’uscita dagli spogliatoi da una pioggia di sputi. Mio padre lo imparò il giorno successivo dalle cronache del giornale, perché evitava scrupolosamente i dopo-partita più o meno caldi. Ne rimase seriamente turbato dal punto di vista umano e reagì, alla sua maniera, dicendomi: «E vót che mi, parchè al Pärma l’ à pèrs, spuda adòs a un òmm, a l’alenadór? Mo lu ‘l fa al so mestér cme mi fagh al mèj. Sarìss cme dir che se mi a m’ ven mäl ‘na camra al padrón ‘d ca’ al me dovrìss spudär adòs! Al m’la farà rifär, al me tgnirà zò un po’ ‘d sòld, mo basta acsì».

Mio padre esercitava il mestiere di imbianchino e quegli sputi se li era sentiti addosso. Non poteva concepire un’offesa del genere, soprattutto in conseguenza di un fatto normalissimo anche se spiacevole: perdere una partita di calcio. Non so però se sarebbe altrettanto comprensivo nei confronti degli allenatori odierni, diventati tutti insopportabili primedonne, quando vengono ingaggiati e sembrano i salvatori della patria, quando vengono esonerati e sembrano le vittime predestinate di un sopruso (magari il sopruso lo hanno fatto loro intascando garantiti compensi da nababbo), quando parlano o non parlano con i giornalisti i quali ne fanno dei maghi del pallone, quando dettano ai loro presidenti acquisti di giocatori importanti e costosi per poi magari farli sedere in panchina in base ai loro astrusi ed assurdi tatticismi, quando trattano i calciatori come pedine sulla loro virtuale scacchiera, quando urlano e sbraitano in continuazione per farsi vedere dalle telecamere finendo con l’infastidire e creare confusione alla squadra, quando si stracciano le vesti per la minima incongruenza degli arbitraggi martirizzando l’incolpevole quarto uomo, quando dopo le partite assumono il tono di Mosè che scende dal monte Sinai, quando durante il campionato non sanno dove tenere il culo e continuano a tessere rapporti con altre squadre preparandosi vantaggiose vie di fuga.

Tuttavia davanti agli stadi vuoti non basta il primadonnismo degli allenatori, bisogna pensare di trasformare gli impianti sportivi in operazioni immobiliari prima e, dopo, in contenitori polivalenti per tornare a catturare l’attenzione delle tifoserie allontanatesi soprattutto a causa del clima violento e della corruzione pallonata, nonché per il fatto che la vacca viene munta dalle Tv a pagamento. Gli stadi in Italia vengono riempiti al 55% ed è già un miracolo, se si pensa a quanto avviene fuori e dentro di essi, prima durante e dopo le partite che in essi si svolgono (non mi riferisco solo ai putiferi scatenati dagli ultras più o meno prezzolati).

Il calcio si muove come un enorme carrozzone autoreferenziale all’ombra del quale mangiano migliaia di persone discettando sul fatto se un giocatore debba essere una mezza-punta o un trequartista (forse sono la stessa cosa, ma ci sima capiti…).

Mia madre, quando osservava il contesto entro cui si collocava il calcio giocato, si chiedeva, alla sua maniera, cosa sarebbero andati a fare tutti quei buoni a nulla se improvvisamente il fenomenale pallone fosse scoppiato.

È un mondo che riesce a influenzare tutto e tutti, compresa la politica, che coinvolge interessi enormi. Nei miei retropensieri ci sono due curiosità che vorrei soddisfare. Primo: leggere con occhio professionale (me lo sono fatto non per merito, ma per pura pratica) i bilanci delle società di calcio. Ci devono essere tali e tanti scheletri negli armadi del calcio da far impallidire i cimiteri. Secondo: sapere quanto vengono pagati gli inutili e fastidiosi commentatori tecnici che disturbano le telecronache. Mi accontento di poco.

Per evitare accuratamente di cadere nel calcio (s)parlato mio padre pretendeva che il dopo partita durasse i pochi minuti utili per uscire dallo stadio, scambiare le ultime impressioni, sgranocchiare le noccioline, guadagnare la strada di casa e poi…. Poi basta. “Adésa n’in parlèmma pu fìnna a domenica ch’ vén”.

Si chiudeva drasticamente e precipitosamente l’avventura calcistica in modo da non lasciare spazio a code pericolose ed alienanti, a rimasticature assurde e penose. Sarebbe sempre più in difficoltà. Probabilmente avrebbe da tempo gettato la spugna.

Un’amica mi ha recentemente chiesto: «Ma tu segui le partite di calcio? Non ti ci vedo in questa versione». Dopo averla ringraziata del complimento, le ho risposto: «Qualche rara volta le guardo in Tv, giusto per rilassarmi un po’…o per incazzarmi ancora di più…non per i risultati ma per tutto quel che vi ruota intorno…».