Il referendum e lo scaricabarile sociale

La chiave di lettura sociale dei risultati referendari dà il No particolarmente attivo tra i giovani e nel meridione. Se il disagio per mancanza di lavoro e crescente stato di povertà è alla basa del voto del No, qualificabile quindi anche come espressione elettorale di protesta, risulta conseguente che tale “ribellione” si annidi soprattutto nelle categorie ed i territori in cui le difficoltà economiche si sentono maggiormente e drammaticamente. Probabilmente inoltre per una fascia di elettorato sfiduciato e scontento, che prima trovava una (non) espressione nell’astensione dal voto, il referendum sulla riforma costituzionale ha paradossalmente rappresentato l’opportunità di tornare in cabina a tracciare un chiaro rifiuto sul sistema.Su questa saldatura tra il No e la protesta sociale, almeno per i giovani, ha certamente influito anche la benzina che il movimento 5 stelle sparge sul fuoco della insoddisfazione. Indubbiamente i grillini hanno intercettato un moto di ribellione, dandogli, bene o male, una rappresentanza politica e quindi, allorché questo movimento ha spinto in modo sguaiato ma efficace, verso il No, è stato seguito. Credo che questo fenomeno, di traduzione del disagio sociale in voto contrario alla riforma, sia solo parzialmente avvenuto sotto la spinta grillina: noto infatti che Grillo più che sul disagio sociale punta sull’antipolitica che è un sentimento trasversalmente e psicologicamente diffuso e che non sempre si sposa con il più oggettivo disagio sociale.Il No dei giovani e dei meridionali ha indubbiamente un significato da cogliere con realismo e serietà: un ulteriore segnale per una politica che voglia affrontare lo sviluppo dando prioritariamente risposte a chi ha motivazioni forti per chiederle a gran voce.Sono due discorsi diversi. Quello meridionale, antico, annoso, con mille sfaccettature di ordine sociologico (mafie), politico (clientele e spreco di finanziamenti), psicologico (inerzia individuale e di gruppo), educativo (scuola e attenzione alle giovani generazioni), economico (valorizzazione del patrimonio naturale, culturale, artistico, artigianale), europeo (solo in Europa e con l’aiuto dell’Europa si affronta questo problema).Il problema giovanile, che nelle aree meridionali si sovrappone a quello territoriale, è legato all’evoluzione del sistema economico e sociale: il calo occupazionale dovuto all’informatizzazione dei processi produttivi, alla razionalizzazione delle aziende pubbliche e private, al contenimento della spesa pubblica, al rialzo dell’età pensionabile, alla intellettualizzazione eccessiva della formazione culturale, alla mancanza di collegamento fra indirizzi scolastici e mondo del lavoro, alla deresponsabilizzazione dei giovani a livello famigliare, alla crisi valoriale generalizzata.Discorsi enormi che tuttavia stridono con il No alla revisione della Carta Costituzionale: si potrà certo dire che eliminare il bicameralismo perfetto non è la bacchetta magica per dare nuove opportunità di lavoro ai giovani, ma semplificare e rendere più efficace il sistema istituzionale è senza dubbio un presupposto per avviare un complessivo progetto rinnovatore e sviluppatore. Forse però pretendere questa fredda razionalità politica da chi si trova in gravissime difficoltà è un po’ troppo: gravi responsabilità incombono invece su chi soffia sul fuoco, creando false illusioni e proponendo assurde scorciatoie. Non è certamente serio prefigurare un presente roseo ed un futuro ancor più roseo: appunto che viene mosso al renzismo e che in parte ha una sua validità. Tuttavia mi sembra che sia in atto il maldestro tentativo di scaricare sull’esperienza governativa di Renzi problemi irrisolti da decenni o comunque riconducibile al sistema economico occidentale. Se non altro in questi ultimi anni qualcosa di concreto si è cercato di fare e mi sembra ingeneroso, oltre che poco credibile, l’appunto proveniente da personaggi e partiti carichi di enormi responsabilità nel passato remoto e recente, nonché da movimenti improvvisati e precipitevolissimevolmente risolutivi.Ecco perché giudico un passo indietro il No alla riforma costituzionale, un passo indietro che non serve affatto a prendere la rincorsa, ma a tenere bloccata tutta la situazione in attesa di cosa non ho ben capito.Il panico del PDChe il partito democratico potesse soffrisse di contraccolpi dalla sconfitta al referendum era facile prevederlo: una leadership messa in discussione, i partiti allo sbando, un quadro politico sfilacciato e frammentato, una crisi economica pesante, un rapporto difficile con l’Europa, un quadro istituzionale farraginoso e litigioso.Il motivo per cui non ho aderito al PD è sintetizzabile in una espressione che ho usato spesso nei miei scritti e nei miei dialoghi: il PD ha tutti i difetti della DC senza averne i pregi.Il dopo-referendum mi sta dando purtroppo ragione. Le correnti e i loro capi stanno esagerando e cadono nella trappola dell’anarchia, innescata da D’Alema e c. con una scriteriata e dissonante campagna elettorale, e proseguita con il ritorno isterico a certe pratiche che lasciano intendere accordi di mero potere (il doroteismo, vizio storico della democrazia cristiana). Tiro in ballo D’Alema, perché nutro nei suoi confronti una grande ammirazione sul piano intellettuale e financo culturale (ho sempre detto: se D’Alema mi proponesse di lavorare politicamente nel suo gruppo avrei serie difficoltà a dirgli di no). In questa fase politica non gli rimprovero tanto il risentimento verso Renzi per non essere stato designato alla carica di “ministro degli esteri europeo”, ruolo che avrebbe svolto con indubbia capacità, avvalendosi del carisma indiscutibile e dell’esperienza acquisita a livello mondiale; ritengo oltretutto un errore strategico e tattico di Renzi non avere recuperato D’Alema in questo ruolo, anche perché non sarebbe stato in contrasto col discorso della rottamazione (una questione generazionale e politica tutta italiana). Renzi in questi frangenti ha rivelato gravi limiti, anteponendo la sua strategia alla strategia del Paese e non sapendo ripiegare tatticamente su soluzioni atte a superare certe contrapposizioni eccessive e stucchevoli. Rimprovero invece a D’Alema il vizio di ripiegare continuamente sulla logica di potere camuffata da furbi tatticismi: con il referendum poi ha esagerato e ora forse sta perseverando e trascinando altri nell’errore. Mi dispiace.Non può essere quella degli accordicchi interni (di potere) la risposta. I problemi non mancano, ma proprio per questo dovrebbe prevalere il senso di responsabilità, la volontà di volare alto rispetto al prendere tempo in funzione del mero mantenimento del potere (il discorso vale per tutti) e basso rispetto ai problemi del Paese.Sul piano istituzionale il Pd si dovrebbe rimettere alle decisioni del Quirinale, dando al Presidente della Repubblica tutta la disponibilità e la collaborazione possibili: è lui, in questo momento più che mai, il garante della situazione e della tenuta del sistema democratico.Sul piano politico si abbia il coraggio di aprire il dibattito senza accentuare ulteriormente le già deleterie divaricazioni, ma al contrario recuperando un senso di unità sostanziale del partito. Questo nei momenti topici la DC lo sapeva fare. Ricordo di avere partecipato, da giovanissimo uditore, al congresso DC in cui Moro si staccò dalla maggioranza del partito (allora era segretario Flaminio Piccoli) di cui non condivideva più la linea politica. Fece un intervento di una profondità storica e di una bellezza incantevole. Non risparmiò attacchi durissimi al punto che nella platea dei delegati si scatenò un putiferio, volavano letteralmente le seggiole. Ebbene, Moro, che stava parlando, e Fanfani, che presiedeva il congresso, si scambiarono un paio di battute, facendo indirettamente capire che si poteva discutere anche aspramente senza rovinare tutto. Tornò la calma. Erano i cavalli di razza, già…La corsa contro gli immigratiIl comitato del No al referendum, quello più serio (promosso da Gustavo Zagrebelsky e Alessandro Pace) sta valutando di mantenere una mobilitazione e di considerarsi un soggetto civile nella partita politica. Questi illustri studiosi, a cui va tutto il mio rispetto, sostengono infatti che c’è vita al di fuori dei Palazzi della politica tradizionale e che la stravittoria del No è bene che non se la intestino i partiti politici, perché il movimento è stato assai più capillare e diffuso: la voce dei cittadini. La giudico una opportuna azione di indebito arricchimento verso i partiti, che, sentendosi vincitori, stanno cavalcando la situazione in modo indegno. Non sono convinto che questo comitato possa avere un futuro: si parla di Italicum, di referendum Cgil… La faccenda si complicherebbe.Sempre meglio comunque discutere di politica con certi professori che con i grillini Di Battista e Di Maio, i quali inebriati e accecati dall’illusorio successo, stanno brancolando nel buio e, come scrive Alessandra Longo, cominciano a gareggiare con la Lega, scoprendo il loro celodurismo di seconda mano anche nella delicata materia dei migranti, esibendo i muscoli dei pretendenti leader e premier, lanciando messaggi alla viva il parroco nel mare della Rete. D’altra parte l’Italia avrebbe raggiunto il triste primato in Europa per la xenofobia (il 52% degli italiani non si sente più a casa sua per colpa degli immigrati), mentre 5.400 comuni non ospitano alcun rifugiato. È molto interessante il raffronto di Ilvo Diamanti, che paragona il Movimento Cinque Stelle ad un “autobus”: gli elettori salgono con diversi obiettivi e destinazioni, al caso scendono sostituiti subito da altri passeggeri. In “questo momento storico”, l’autobus non può non intercettare l’umore medio degli utenti. Grillo ha lanciato da tempo l’allarme : «Attenti, gli immigrati portano Ebola!».